Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura

Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura

Recentemente, preparando l’argomento “Informazione e consenso” per un corso di formazione destinato a colleghi medici-odontoiatri, mi sono soffermato sul testo della legge 219/2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” e in particolare sull’articolo 1 che al comma 8 recita: “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”.

Ho ripensato alle tante volte in cui mi sono sentito dire – e a mia volta ho detto -, che è preferibile non parlare di consenso informato, trattandosi di un concetto ormai superato, se non addirittura errato.

Ciò in quanto non può esservi consenso senza una previa adeguata informazione (indissolubilmente legata ad una buona comunicazione). Adeguata nei contenuti e nella modalità di trasmissione e nel recepimento degli stessi da parte del cittadino-paziente.

Noi curiamo i nostri pazienti ogniqualvolta “comunichiamo” con loro.

Come insegna il mio maestro, il dottor Marco Scarpelli: “Il modulo di consenso non rappresenta il consenso informato, ma rappresenta uno strumento a completamento della fase di rilascio del consenso e soprattutto della fase più generale di scambio di dati e di informazioni tra i due protagonisti del rapporto professionale ovvero il medico e il paziente”.

Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura

È un concetto etico, un comportamento deontologicamente corretto, ribadito all’art. 33 del Codice di deontologia medica del 2014 ai sensi del quale “Il medico garantisce alla persona assistita o al suo rappresentante legale un’informazione comprensibile ed esaustiva sulla prevenzione, sul percorso diagnostico, sulla diagnosi, sulla prognosi, sulla terapia e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche, sui prevedibili rischi e complicanze, nonché sui comportamenti che il paziente dovrà osservare nel processo di cura. Il medico adegua la comunicazione alla capacità di comprensione della persona assistita o del suo rappresentante legale, corrispondendo a ogni richiesta di chiarimento, tenendo conto della sensibilità e reattività emotiva dei medesimi, in particolare in caso di prognosi gravi o infauste, senza escludere elementi di speranza. Il medico rispetta la necessaria riservatezza dell’informazione e la volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l’informazione, riportandola nella documentazione sanitaria. Il medico garantisce al minore elementi di informazione utili perché comprenda la sua condizione di salute e gli interventi diagnostico- terapeutici programmati, al fine di coinvolgerlo nel processo decisionale”.

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Proprio la citata legge 219/2017 ha sancito che “Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi” (1) e nell’art. 1 comma 4 viene sottolineata l’importanza di documentare il consenso in forma scritta o videoregistrata, conservandolo poi nella cartella clinica.

Quando insorge un contenzioso tra paziente e medico-odontoiatra/struttura, accade spesso che nell’analisi della documentazione clinica non sia presente un modulo di consenso relativo ai trattamenti eseguiti o che si tratti di un modulo prestampato assolutamente generico e non compilato (talvolta nemmeno datato o firmato), del tutto inidoneo a dimostrare l’informazione fornita al paziente e da questi compresa relativamente al trattamento da eseguirsi, dei rischi, delle conseguenze (positive o negative) e delle alternative a tale trattamento.

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Dal 2017 in poi la Corte di Cassazione ha più volte sottolineato l’importanza di informare il paziente – in modo sufficientemente chiaro ed esauriente – in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, alle eventuali terapie alternative, alle conseguenti ipotesi di danno derivanti dalla lesione del diritto al consenso informato e ai relativi oneri di allegazione e prova (Cassazione Civile Sez. III n. 17806 del 26/08/2020 e la Cassazione Civile Sez. III n. 28985 dell’11/11/2019).

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Non di rado si ha la convinzione che tali pronunce giudiziali attengano ad altri ambiti della medicina, non di certo all’odontoiatria.

In realtà proprio il Tribunale di Vicenza (sez. I), con sentenza n. 1443 del 13/07/2021, ha condannato una struttura odontoiatrica al risarcimento del “danno alla salute” in conseguenza delle lesioni neurologiche comparse a seguito dell’estrazione di un dente del giudizio e l’odontoiatra per violazione del diritto di autodeterminazione (liquidato in via equitativa dal giudice in € 5.000,00), in quanto “non si può quindi ritenere che la sig.ra G.P. abbia prestato un valido consenso informato: la stessa, infatti, era sì stata resa edotta dei potenziali rischi dell’intervento estrattivo, ma non era stata messa a conoscenza del fatto che vi fossero altre cure meno rischiose e più adatte a curare il suo problema”.

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Con l’ordinanza n° 16633/2023 depositata in cancelleria il 12 giugno 2023 la Corte di Cassazione ha ribadito come “il consenso del paziente oltre che informato, dev’essere consapevole, completo (deve riguardare, cioè, tutti i rischi prevedibili, compresi quelli statisticamente meno probabili, con esclusione solo di quelli assolutamente eccezionali ed altamente improbabili) e globale (deve coprire non solo l’intervento nel suo complesso, ma anche ogni singola fase dello stesso), dall’altro, esso deve essere esplicito e non meramente presunto o tacito (anche se presuntiva, per contro, può essere la prova, da darsi dal medico, che un consenso informato sia stato prestato effettivamente e in modo esplicito”.

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Particolarmente interessante come gli ermellini abbiano sottolineato l’importanza di fornire un’informazione completa, specificando al paziente che l’evento correlabile alla prestazione si possa verificare anche solo nel 5% dei casi (2). “Quel che rileva infatti, ai fini della valutazione da compiere sulla completezza delle informazioni da fornire al paziente, è che si tratti di evento correlabile alla prestazione sanitaria, la cui possibile verificazione sia comunque nota nella letteratura medica e come tale prevedibile, ancorché quale conseguenza di bassa frequenza statistica”.

Con tale ordinanza la Suprema Corte fa chiarezza sulle ipotesi relative all’intreccio di allegazioni riguardanti l’esecuzione inadempiente di cui all’art 1218 c.c. (responsabilità contrattuale) e di cui all’art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale) nonché la violazione dell’obbligo informativo. Ricorrono quindi:

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Concluderei sottoponendovi un quesito relativo a un caso i cui riferimenti a persone o fatti realmente accaduti sono assolutamente casuali.

Un paziente subisce un danno al nervo linguale, quale conseguenza dell’estrazione del 48, e si sottopone ad un primo intervento di neurorrafia per emendare il danno subito. L’intervento viene eseguito correttamente ma la ripresa risulta parziale e persistono dolori saltuari nella regione di pertinenza del nervo trattato. Viene quindi eseguita una seconda neurorrafia del linguale, con ricostruzione con nervo di banca. Il paziente riferisce che in una scala del dolore da 1 a 10, fino a poco tempo prima del secondo intervento il dolore arrivava a 9. A partire da circa una settimana dopo il secondo intervento era pari a 10. Il modulo di consenso firmato dal paziente prima del secondo intervento riporta, tra i benefici attesi, sollievo/risoluzione della sintomatologia algica, incremento della sensibilità del labbro inferiore, pur non essendo garantita la ripresa della sensibilità nervosa né la remissione della sintomatologia dolorosa. Tra i disagi ed effetti indesiderati: necrosi dell’innesto e persistenza del deficit sensitivo/algia. Nessun riferimento ad un eventuale possibile peggioramento.

Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura

INBOX Codice di deontologia medica 2014 – Art. 35

“L’acquisizione del consenso o del dissenso è un atto di specifica ed esclusiva competenza del medico, non delegabile. Il medico non intraprende né prosegue in procedure diagnostiche e/o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato. Il medico acquisisce, in forma scritta e sottoscritta o con altre modalità di pari efficacia documentale, il consenso o il dissenso del paziente, nei casi previsti dall’ordinamento e dal codice e in quelli prevedibilmente gravati da elevato rischio di mortalità o da esiti che incidano in modo rilevante sull’integrità psico-fisica. Il medico tiene in adeguata considerazione le opinioni espresse dal minore in tutti i processi decisionali che lo riguardano.”

Riferimenti bibliografici

  1. Legge 219/2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” art. 1 comma
  2. “Si trae da tali considerazioni il corretto apprezzamento, quale pregiudizio rilevante sul piano risarcitorio, delle sofferenze del tutto presumibilmente derivate dall’inatteso aggravamento, nei mesi successivi alle dimissioni, della sintomatologia dolorosa che aveva spinto il A.A. ad effettuare l’intervento, in termini, come detto, di sorpresa, impreparazione, maggiore afflizione: conseguenze pregiudizievoli tanto più presumibili e tanto più rilevanti quale danno risarcibile, quanto meno prevedibile poteva considerarsi la complicanza (nella specie, come detto, statisticamente ricorrente solo nel 5% dei casi)”.