
Sono stati inclusi tre pazienti (45/65 anni): due che necessitano di riabilitazione implantare previo innesto osseo di calvaria e protesi supportate da impianti, mentre l’altro paziente ha effettuato un inserimento di un impianto nell’area adiacente al sito rigenerato con innesto di calvaria 15 anni prima. Nei primi due pazienti, i campioni ossei sono stati ottenuti dal sito donatore (T0), dall’area rigenerata 4 mesi dopo l’innesto (T1) e 6 mesi dopo l’inserimento dell’impianto (T2). Inoltre, un campione di osso è stato ottenuto da un terzo paziente, 15 anni dopo l’innesto (T3). È stata effettuata un’analisi macrostrutturale e un’analisi immunoistochimica, verificando l’espressione di BSP2, marker osteogenico, collagene I, organizzatore della matrice ossea, VEGF regolatore angiogenico,
ERK 1/2, che regola sia l’attività osteogenica che angiogenica, e la proteina infiammatoria iNOS.
I campioni T1 e T2 mostrano la presenza d’importanti fenomeni di rimodellamento, con area di riassorbimento e neoapposizione ossea, unitamente alla formazione di nuovi vasi sanguigni. Mentre nel campione T3 si osservano caratteristiche morfologiche molto vicine all’osso nativo, come dimostrato dalla scomparsa delle linee di saldatura. Tuttavia, le piccole cellule poligonali che assomigliano agli osteoblasti, chiuse nei canali di Havers, denotano che ci sia ancora neoapposizione ossea. Le analisi immunoistochimiche mostrano una drastica diminuzione dell’espressione del collagene, in T1 e T2, stabilizzata in T3, in parallelo all’aumento di BSP2, che tuttavia è considerevolmente ridotto in T3. Inoltre, il fattore di angiogenesi VEGF è aumentato in T2, rispetto a T0, T1 e T3 che sono abbastanza simili. Il livello più alto di ERK 1/2 è evidenziato nel campione T2; ed infine i livelli basali di iNOS, correlati a eventi infiammatori sono evidenziati in T0 e T3, rispetto a T1.
Questi dati, combinati con osservazioni cliniche, suggeriscono che l’innesto di origine extraorale, in particolare da calvaria, è perfettamente integrato dopo 15 anni. Inoltre, ciò è confermato dalla presenza di cellule poligonali attorno ai canali di Havers e dalla tendenza negli anni di BSP2, parallelamente all’espressione di VEGF e ERK 1/2, suggerendo che esiste una nuova formazione ossea residua. Pertanto, gli innesti di osso auutologo extraorali, in particolare quelli di calvaria, sembrano particolarmente adatti come biomateriali per la rigenerazione ossea di difetti estesi prima di una successiva terapia protesica supportata da impianto. (1) (Tetè et al., 2013 Eur.J.Histochem, 57,60-65).
La ricostruzione dei grandi difetti ossei mascellari e mandibolari causata da incidenti, tumori o atrofia da edentulismo (con innesti di osso autologo) rappresenta un’importante sfida clinica per i chirurghi.
Quindi per riparare tali difetti è importante avere una conoscenza delle proprietà biologiche del tessuto osseo nativo e dei sostituti ossei, i quali devono essere biocompatibili, ben tollerati, non teratogeni, non cancerogeni, bioattivi, sterilizzabili e con buone proprietà meccaniche e chimiche.
L’evidenza scientifica attesta che l’osso autologo può essere considerato il gold standard tra i materiali da innesto in quanto garantisce l’avvio di tre processi biologici fondamentali su cui poggiano le basi concettuali per le procedure di innesto osseo: osteogenesi, osteoinduzione e osteoconduzione.
Pertanto oggetto di questa tesi sperimentale è stato investigare gli aspetti morfologici e i meccanismi molecolari che caratterizzano l’integrazione dell’osso autologo e il rimodellamento della sede dell’impianto.
In particolare è stata presa in considerazione l’espressione di BSP2, marker osteogenico, di collagene, organizzatore della matrice ossea, di VEGF, regolatore angiogenico, e delle vie di segnale MAPK/ERK, che inducono sia l’attività osteogenica che angiogenica nonché l’ espressione della iNOS, che può mediare l’eventuale instaurarsi di un processo infiammatorio nel tessuto osseo ospite in presenza di innesti di osso autologo extraorale da calvaria in siti edentuli del mascellare superiore posteriore in due pazienti a T1 (4mesi), T2 (6mesi) e T3 (15 anni).
Innesti di osso autologo: materiali e metodi
Sono stati esaminati tre pazienti, comprese tra i 45 e i 65 anni, di sesso femminile e un paziente di anni 65 che ha effettuato un rientro dopo 15 anni, per inserimento implantare in sede adiacente.
I suddetti pazienti avevano bisogno di una riabilitazione orale nel mascellare superiore e presentavano un volume osseo inadeguato, per permettere l’inserimento implantare; precisamente definite classe 5 (classificazione di Cawood e Howell).
Quindi presentando una cresta alveolare residua minore di 4 mm, uno spessore di almeno 5 mm e un’aumentata distanza intermascellare, sono stati trattati con rialzo di seno mascellare ed innesto di osso autologo, prelevato da teca cranica, d’apposizione verticale e orizzontale.
Tutti i pazienti sono stati previamente informati dello scopo di questa ricerca ed hanno espresso il loro consenso in forma scritta, in accordo con la commissione etica locale, con la legislazione italiana, e con il codice dei principi etici della ricerca scientifica inerenti agli esseri umani della World Medical Association (Dichiarazione di Helsinki).
Procedura chirurgica
Prima dell’intervento i pazienti sono stati sottoposti ad anamnesi medica completa, esame obiettivo clinico e radiografico.
Tutti i pazienti hanno mostrato (condizione necessaria per il loro reclutamento nello studio) buone condizioni sistemiche, inc
lusa l’assenza di patologie che controindicassero la chirurgia o che costituissero un fattore di rischio per il futuro successo della terapia riabilitativa implanto-protesica.
In particolare sono stati adottati come criteri di inclusione: assenza di compliance per le procedure di igiene orale domiciliare, malattia parodontale incontrollata, patologie infiammatorie acute dei mascellari, malattie delle mucose orali, storia recente di irradiazione della regione testa-collo, chemioterapia, fumo, diabete mellito scompensato, uso di sostanze stupefacenti, assunzione di bisfosfonati, immunodepressione, parafunzioni.
La valutazione radiografica preoperatoria ha incluso l’esecuzione di ortopantomografia e tomografia computerizzata cone beam (CBCT). Prima di qualsiasi intervento chirurgico è stata somministrata l’antibiotico-profilassi.
Gli interventi di prelievo di osso autologo dalla teca cranica sono stati effettuati presso l’ospedale Vita e Salute San Raffaele dal professor Raffaele Vinci.
I blocchi di osso autologo, di dimensione corrispondente al difetto osseo da ricostruire, sono stati prelevati in anestesia generale dalla regione parietale della teca cranica, utilizzando la tecnica splitting-in-situ proposta da Paul Tessier nel 1982.
Il vantaggio di essa, differentemente dalla tecnica splitting- on-table, è di permettere il distacco unicamente della corticale esterna: in questa maniera si ottiene certamente una minor quantità̀ di osso, ma in compenso le procedure chirurgiche risultano più̀ semplici, di durata inferiore, e soprattutto meno invasive, riducendo al minimo i possibili incidenti di esposizione o lacerazione della dura madre, quindi non rende necessaria la presenza del neurochirurgo.
Dopo l’incisione della cute non rasata (Vinci R et al, 2006) e la riflessione del lembo, il contorno del blocco è stato delimitato con uno strumento piezoelettrico (Easy Surgery, BioSAF IN S.r.l., Ancona, Italia).
Una volta osteotomizzati completamente i margini, il frammento è stato mobilizzato e staccato mediante scalpelli di differente angolazione.
Il sito ricevente è stato esposto tramite un’incisione a tutto spessore e ribaltamento di un lembo mucoperiosteo, e i blocchi di osso sono stati sagomati secondo la morfologia e le dimensioni del difetto. L’osso corticale dei siti riceventi è stato perforato con una fresa rotante di 1 mm di diametro per aumentare l’apporto sanguigno dai vasi endossei e i blocchi d’osso sono stati fissati con viti da osteosintesi di 1,5-2 mm di diametro per ricostruire la cresta alveolare.
Tutte le intercapedini tra i blocchetti d’osso e il sito ricevente sono state riempite con osso autologo particolato.
La chiusura dell’accesso chirurgico è stata ottenuta dopo un’incisione di rilascio periostale di entrambi i lembi mucoperiostei, buccale e linguale, con suture 3-0.
Il protocollo farmacologico post-operatorio prevedeva per tutti i pazienti, la somministrazione di un antibiotico (ceftriaxone, 2g/die per 10 giorni), un antiinfiammatorio non steroideo (ketoprofene, 400 mg/die per 10 giorni), un glucocorticoide (betametasone, 4mg/die per i primi due giorni, 2mg il terzo giorno) ed un antisettico locale (clorexidina 0,20% colluttorio 3 volte al giorno). Inoltre è stata prescritta a tutti i pazienti dieta morbida ed igiene orale scrupolosa.
Terminata la prima fase chirurgica e rimosse le suture dopo circa 10 giorni, i pazienti sono stati seguiti mensilmente con esami clinici e radiologici effettuati con radiografie periapicali della sede trattata.
L’inserimento delle fixture è stato rimandato in tutti i pazienti; circa 4 mesi dopo l’intervento di prelievo, infatti, tutti i pazienti sono stati sottoposti ad una seconda fase chirurgica per il posizionamento degli impianti.
In occasione del rientro chirurgico, dall’osso rigenerato e interessato dall’inserimento degli impianti sono stati prelevati dei campioni bioptici mediante una fresa trephine di 3 mm di diametro e 8 mm di altezza, in modo da avere campioni significativi di osso rigenerato per tutti i pazienti.
Mentre come precedentemente citato con il medesimo strumento è stata prelevata una carota ossea nel rientro a 15 anni, dovendosi sottoporre la paziente a inserimento implantare in una sede adiacente.

Analisi morfologica in microscopia ottica ed immunoistochimica
I campioni di tessuto osseo, fissati in una soluzione tamponata con fosfato di formalina 10% per 72 h, sono stati decalcificati in una soluzione di EDTA (MIELODEC kit, Bio- Optica, Milano), disidratati in soluzioni a concentrazione crescente di alcool e xilene e successivamente inclusi in paraffina.
Sono state poi tagliate sezioni di 5 μm di spessore, deparaffinate in xilene e successivamente in concentrazioni decrescenti di alcoli e processate per la colorazione con ematossilina-eosina e per l’analisi immunoistochimica.
Al fine di mettere in evidenza le proteine, BSP2, Collagene I, VEGF, MAPK/ERK, iNOS, oggetto dello studio, le analisi immunoistochimiche sono state eseguite su 5 sezioni di tessuto per ciascun campione sperimentale, utilizzando il kit Ultravision LP Detection System HRP Polymer & DAB Plus Chromogen (Lab Vision Thermo, CA, USA) seguendo le istruzione fornite dalla casa produttrice.
Le sezioni sono state incubate con anticorpi monoclonali di topo anti BSP2, collagene I, VEGF (Santa Cruz Biotechnology, Santa Cruz, CA,USA) con anticorpo policlonale di coniglio anti iNOS (Santa Cruz Biotechnology, Santa Cruz, CA,USA) e anticorpo policlonale di coniglio anti MAPK/ERK (Cell Signalling Technology Inc., CA, USA).
Il cromogeno utilizzato per lo sviluppo della reazione è stato il tetracloruro di 3,3-diaminobenzidina (DAB), che ha fornito il prodotto di ossidazione insolubile, colorato in bruno-arancio e precipitante sul luogo di reazione.
I nuclei sono stati contrastati con ematossilina, e i preparati sono stati osservati al microscopio ottico sia per l’esame morfologico che immunoistochimico.
I controlli negativi sono stati ottenuti omettendo l’utilizzo degli anticorpi primari.
Le sezioni sono state osservate per mezzo di microscopio ottico Leica DN 4000 (Leica Cambridge Ltd, Cambridge, UK) dotato di una videocamera Leica DFC 320 (Leica Cambridge Ltd, Cambridge, UK) per l’ottenimento di immagini computerizzate.
Misurazione morfometrica computerizzata ed analisi di immagine
Dopo la digitalizzazione delle immagini derivanti dalle analisi immunoistochimiche, è stato utilizzato il software di analisi d’immagine QWin Plus 3.5 (Leica Cambridge Ltd, Cambridge, UK) per valutare l’espressione di TGFβ1, OPG, RANKL, VEGF, BmP2, collagene, MAPK/ERK, iNOS.
L’analisi dell’espressione proteica è stata effettuata attraverso la quantificazione delle aree colorate in marrone in dieci campi acquisiti casualmente per ciascuna sezione di ciascun punto sperimentale.
I dati ottenuti mediante il software QWin sono stati registrati in fogli dati Microsoft Excel e trattati per le deviazioni standard e gli istogrammi.
La significatività statistica dei risultati è stata valutata mediante il Wilcoxon, Mann–Whitney Test, usando il software di analisi statistica R Software, versione 2.12.1 per Mac, ed impostando come livello di significatività con p = 0,05.


Risultati
Il posizionamento di un innesto di tessuto osseo, volto ad incrementare il volume della cresta residua, induce una reazione nel sito ricevente.
Tale risposta, indipendente dalla natura del sito donatore, presenta alcuni caratteri comuni al processo infiammatorio (iperemia, vasodilatazione).
In breve tempo, si assiste all’incorporazione dell’innesto, mediante il processo di angiogenesi e di colonizzazione ad opera di cellule mesenchimali e mediatori chimici.
Successivamente queste cellule multipotenti iniziano a differenziarsi in senso osteogenico ed a proliferare.
A circa 4 settimane dall’intervento, da parte degli osteoblasti rimasti vitali nell’innesto e da quelli derivati dalla differenziazione delle cellule multipotenti, appongono nuovo tessuto osseo.
Questo osso primario va incontro a maturazione, con formazione di tessuto osteoide e sistemi haversiani che ne determinano una struttura lamellare.
Alla base di questi processi si instaurano dei meccanismi molecolari che ne regolano l’andamento.
A tale proposito in questo studio sono stati analizzati i livelli di espressione di molecole strettamente coinvolte nel processo d’integrazione dell’innesto, quali BSP2, Collagene I, VEGF, MAPK/ERK, iNOS.
Le analisi sono state eseguite su campioni bioptici di tessuto osseo prelevato dai pazienti in occasione del rientro chirurgico nel sito rigenerato avvenuto circa 4 mesi dopo il primo intervento, ossia al momento dell’inserimento degli impianti, a 6 mesi cioè al momento dell’esposizione delle viti, ed infine un caso a 15 anni per inserimento implantare in sede adiacente.
L’analisi morfologica è stata eseguita al microscopio ottico dopo colorazione con ematossilina-eosina, mette in evidenza nei campioni appartenenti al gruppo T1 (4 mesi), la presenza del tessuto osseo nativo e delle nuove fibre di tessuto connettivo può essere facilmente identificata; infatti nei campioni T2 (6 mesi) si osserva una struttura per lo più compatta con vaste aree di rimodellamento in cui è possibile evidenziare la presenza di neoformazioni vasali.
Inoltre sono presenti linee di saldatura con margine di riassorbimento e neoapposizione ossea tra il tessuto osseo preesistente e l’innesto.
Nei campioni ottenuti invece a 15 anni circa dal momento dell’innesto (T3), l’osservazione microscopica mette in luce un aspetto morfologico molto simile a quello dell’osso nativo, indice della formazione di osso corticale con le stesse caratteristiche strutturali e biomolecolari di quello innestato.
Infatti L’analisi microscopica ha evidenziato che l’innesto ha assunto delle caratteristiche morfologiche molto simili all’osso nativo, come si evince dalla scomparsa delle linee di saldatura.
Tuttavia la cosa più interessante è che intorno al canale di Havers, sono posizionate piccole cellule poligonali che ricordano la morfologia degli osteoblasti, lasciando ipotizzare che non solo il campione risulta perfettamente integrato ma si potrebbe pensare che ci sia ancora apposizione ossea.
L’analisi immunoistochimica conferma i precedenti risultati. La BSP2 mostra un picco in T2 parallelamente all’espressione del VEGF, indice di attività di rimodellamento osseo e del potenziale neoangiogenico del tessuto ospite.
I livelli sono infatti più elevati in T1 e T2 rispetto al T0 e T3, tutto ciò è confermato dall’immagine dove vediamo la positività (colorazione marrone) in corrispondenza del tessuto connettivo immaturo disposto tra le lamelle ossee.
Ricordando che il collagene anche dai risultati è emerso che ha un picco fisiologico a T0 per poi stabilizzarsi completamente.
Questi dati molecolari supportano la tecnica di carico a 6 mesi di Branemark, infatti l’espressione di tali molecole stimola sotto carico la corretta disposizione dell’osso lamellare.
Mentre l’ERK che abbiamo detto che il coordinatore tra l’osteogenesi e la neoangiogenesi quindi di vegf e BSP2 mostra anch’esso livelli più alti in T1 e soprattutto in T2 supportando appunto questa ipotesi.


L’iNOS è la protagonista della fase infiammatoria ed è più alta in T1 proprio perché dimostra il picco di attività infiammatoria, che richiama in sede non solo macrofagi ma anche osteoblasti che la contrastano per dare il via alle fasi successive. (Figg. 1-5)
Discussione
Quindi alla luce di questi risultati possiamo dire che considerando i risultati dei campioni soprattutto considerando quelli a 15 anni, l’osso si presenta simile alla struttura dell’osso innestato quindi corticale, e possiamo permetterci di affermare che l’osso a 15 anni è perfettamente integrato e non solo parzialmente quindi all’interfaccia tra osso innestato e osso nativo, e non presenta quei fenomeni tipici dell’infiammazione: quindi la struttura ossea ha raggiunto il suo perfetto equilibrio come se l’intervento non ci fosse mai stato, inoltre è un osso vitale perché nella sua struttura sono presenti ancora osteoblasti, dotati di una minima attività di neoapposizione ossea, intorno ai canali haversiani.
Conclusione
I dati clinici insieme a quelli morfologici e molecolari permettono di affermare che gli innesti di osso autologo, ed in particolare di calvaria, rappresentano il gold standard dei biomateriali utilizzabili per ottenere una predicibile rigenerazione nelle severe atrofie ossee.
Si può affermare, infine, che questo studio rappresenti un esempio di translational research, nella quale evidenze scientifiche obiettive costituiscono un ausilio per il clinico nella scelta della terapia più congrua per una determinata alterazione patologica.
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Three patients (45/65 yrs) were included: two needing oral bone rehabilitation through calvaria graft and implantsupported prosthesis, one needing implant insertion in the adjacent area to a site regenerated with calvaria graft 15 yrs before. In the first two patients, bone samples were obtained from donor site (T0), from regenerated area 4 months after grafting (T1), and 6 months after implant insertion (T2). Moreover, a bone sample was obtained from a third patient, 15 yrs after grafting (T3).Morphostructural analysis and immunohistochemical analysesof BSP2, osteogenic marker, Collagen I, organizer bone matrix, VEGF, angiogenic regulator, ERK 1/2, regulating both osteogenic and angiogenic activity, and iNOS inflammatory protein, expression were carried out.
Thus, basing on previously reported evidences the aim of this study was to evaluate the morphological and molecular mechanisms characterizing the integration of autologous with calvaria bone grafts after 4 months (T1), 6 months (T2) and 15 years (T3) and the remodeling of the implant site.
T1 and T2 samples showthe presence of important remodeling phenomena, with area of bone resorption and apposition, together with new blood vessels formation. T3 sample shows morphological features very close to native bone, as shownby the disappearance of welding lines. However, small polygonal cells resembling osteoblasts are closeto Havers channels.Immunohistochemical analyses showa drastic decrease of Collagen expression, in T1 and T2, stabilized in T3, inparallel to BSP2 expression increase,which however is considerably reduced in T3. Moreover VEGF angiogenic factor is increased in T2, with respect to T0, T1 and T3 which are quite similar. The highestlevel of ERK 1/2 is evidenced in T2 sample, basal levels of iNOS, related to inflammatory events is evidenced in T0 and T3, with respect to T1.
This data, combined with clinical observations, suggest that the graft of extraoral source, is perfectly integrated after 15 years. Moreover, this is confirmed by the presence of polygonalcells around the Havers channels and by the trend through the years of BSP2, paralleled by VEGF and ERK 1/2 expression, suggesting that there is a residual new bone formation. Thus, autologous extraoral bone grafts, in particular calvaria ones, seem particularly suitable as biomaterial for bone regeneration of extensive defects prior to a subsequent implant-supported prosthetic therapy. (1) (Tetè et al. 2013 Eur.J.Histochem. 57,60-65).