Considerando le problematiche relative al trattamento di un paziente con ipertensione in ambito odontoiatrico, questa revisione narrativa si propone di evidenziare quali sono gli approcci e le linee guida da tenere presenti quando si approccia un paziente iperteso.
Sono stati ricercati sulla piattaforma online di siti di lettura scientifica come PubMed e Medline tutti gli articoli e le recensioni che considerano il tema della gestione dell’ipertensione in odontoiatria, selezionando quelli più recenti, fino a gennaio 2022, includendo qualsiasi lingua. Considerando le parole chiave “ipertensione”, “odontoiatria”, “pressione arteriosa” e “posologia”, sono stati presi in considerazione studi controllati randomizzati (RCT), studi prospettici, studi osservazionali, revisioni e studi retrospettivi. Sono stati poi esaminati i libri di testo rilevanti per l’argomento e sono state esaminate le citazioni di ogni articolo recuperato e quelle delle revisioni e delle opinioni degli esperti per includere il maggior numero possibile di conoscenze.
Analizzando i dati della letteratura, si è potuto dedurre che l’ipertensione deve essere attentamente seguita e trattata con le dovute precauzioni soprattutto nella fase pre-chirurgica.
L’ipertensione controllata non rappresenta una controindicazione al trattamento odontoiatrico e chirurgico; tuttavia, in alcuni casi, si possono riscontrare anomalie pressorie dovute a forte stress attribuibili all’ambiente ospedaliero (ipertensione da camice bianco), che, se dovessero determinare una pressione superiore a 200 mmGH nella fase pre-chirurgica, dovrebbero portare all’interruzione del trattamento clinico.
Secondo il World Health Report 2002 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le malattie cardiovascolari colpiscono ogni anno circa 12 milioni di persone (The World Health Report. 2002). Per questo motivo, è importante che l’odontoiatra sappia gestire al meglio il percorso di cura dei pazienti affetti da queste patologie, per poter affrontare nel modo più corretto le potenziali complicanze che possono insorgere in seguito alle manovre odontoiatriche (Matsuura et al. 1993). Tra le malattie cardiovascolari più comuni c’è l’ipertensione. L’ipertensione è definita come una pressione arteriosa sistolica media superiore a 140 mmHg o una pressione arteriosa diastolica superiore a 90 mmHg. Possiamo distinguere tra ipertensione di origine sconosciuta (essenziale), circa il 90% dei casi, e ipertensione secondaria (nefropatia, malattia surrenalica), che è una forma meno frequente. L’ipertensione ha una prevalenza del 20% e spesso non è facilmente diagnosticabile perché la sintomatologia può essere assente o aspecifica: ad essa si associano infatti sintomi come mal di testa, lieve tachicardia e stordimento.
Se non gestita correttamente, può portare il paziente a spiacevoli complicazioni come la cardiopatia ipertensiva (ipertrofia ventricolare sinistra e ischemia miocardica), l’insufficienza renale, la retinopatia e persino l’ictus. Esistono diversi fattori che possono predisporre il paziente all’ipertensione: il primo di essi è l’età; infatti, la pressione arteriosa aumenta con l’avanzare dell’età e questo provoca un irrigidimento dei vasi arteriosi con conseguente ipertensione (Elliot WJ et al. 2007). Altri fattori sono il consumo di alcol, lo stile di vita sedentario, l’abitudine al fumo, il sovrappeso e la presenza di malattie diabetiche. (Ferdinand KC. et al. 2017).
Per una diagnosi corretta è necessario effettuare una misurazione accurata della pressione arteriosa, che si esprime attraverso due parametri: la pressione sistolica (massima) e la pressione diastolica (minima); entrambe dipendono dalla contrazione del muscolo cardiaco (sistole) e dal successivo rilassamento del cuore (diastole) tra un battito e l’altro (Hermida RC. et al. 2007), (Julien J. et al. 2004).
I valori normali per la popolazione adulta sono compresi tra 140/85 mmHg, pertanto, si parla di ipertensione quando uno o entrambi i valori pressori sono costantemente superiori alla norma (Brouwers S. et al. 2021).
Una volta posta la diagnosi di ipertensione, è utile sottoporsi ad alcuni esami per scoprire se l’ipertensione ha già danneggiato i vasi, il cuore e i reni, aiutando il medico a definire il profilo di rischio cardiovascolare dei pazienti e a scegliere la terapia antipertensiva più adatta (Christian Ott et al. 2022).
Il metodo più comune e pratico per misurare la pressione arteriosa è quello indiretto, che prevede l’uso di uno sfigmomanometro a mercurio. Consiste in un bracciale di gomma collegato a una piccola pompa manuale da un lato e a un manometro a colonna di mercurio dall’altro (Valler-Jones T. et al. 2005). Il bracciale di gomma viene posizionato sul braccio del paziente, ponendo la campana del fonendoscopio in corrispondenza dell’arteria omerale. Si inizia la misurazione gonfiando il bracciale fino a quando non è più possibile auscultare il polso dell’arteria, che era stato precedentemente toccato con il pollice. A questo punto, si insuffla altra aria nel bracciale per aumentare la pressione di altri 20 mmHg (Dilek Gurgenyatagi Erdem et al. 2009). Dunque, si fa uscire lentamente l’aria dal bracciale girando la piccola valvola della pompa. Si continua a far uscire l’aria finché la pressione dell’aria nel bracciale non è uguale alla pressione arteriosa; attraverso il fonendoscopio si potrà auscultare un rumore iniziale che corrisponde alla pressione sistolica (massima). Al contrario, il valore oltre il quale non verrà più auscultato alcun rumore corrisponderà alla pressione diastolica (minima) (Oparil S. et al 1989).
Una volta posta la diagnosi di ipertensione e riviste le abitudini di vita, può essere necessario intraprendere una terapia farmacologica, il cui scopo è proprio quello di normalizzare la pressione arteriosa.
Per la maggior parte dei pazienti con ipertensione sistemica è indicato un trattamento farmacologico a lungo termine, in aggiunta alle opzioni terapeutiche non farmacologiche, che è utile per raggiungere i livelli pressori desiderati.
Le famiglie di farmaci antipertensivi attualmente disponibili in commercio, se integrate da modifiche dello stile di vita, sono potenzialmente in grado di controllare efficacemente la pressione arteriosa nella maggior parte dei pazienti ipertesi.
Infatti, i farmaci aumentano la loro efficacia se utilizzati in combinazione con la restrizione dietetica dell’apporto di sodio e calorie, l’aumento dell’attività fisica e la perdita di peso.
Nonostante la terapia farmacologica, secondo la letteratura, solo il 25% dei pazienti con ipertensione raggiunge un controllo ottimale della pressione arteriosa.
Tra le famiglie di farmaci antipertensivi troviamo i diuretici. Sono farmaci efficaci che si basano sul riassorbimento di acqua e sodio a livello del tubulo distale, andando a determinare una diminuzione del volume ematico e quindi della gittata cardiaca (Brater DC, 2000). Alcuni studi indicano che la terapia a lungo termine con diuretici tiazidici può proteggere dall’osteoporosi grazie al loro effetto ipercalcemizzante (LaCroix AZ et al. 2000). Gli ACE-inibitori, un’altra famiglia di farmaci antipertensivi, agiscono inibendo la secrezione dell’enzima angiotensina II, con conseguente diminuzione del rilascio di aldosterone e vasocostrizione. Gli ACE-inibitori sono efficaci nel 60-70% dei pazienti con ipertensione non complicata di stadio I-II. I soggetti caucasici e più giovani mostrano una migliore risposta con gli ACE-inibitori (Saunders E. et al. 1990). La gravidanza è una controindicazione assoluta alla terapia con ACE inibitori a causa della tossicità fetale (tossicità fetale e placentare).
Un altro grande gruppo di antipertensivi è costituito dagli antagonisti dei recettori dell’angiotensina II, che partecipano all’interruzione della cascata renina-angiotensina per abbassare la pressione sanguigna (Burnier M. et al. 2000).
Infine, ricordiamo i farmaci calcio-antagonisti che agiscono bloccando i canali del calcio della muscolatura liscia endoteliale: ciò determina un rilassamento muscolare e una diminuzione della resistenza periferica (Luscher TF. et al. 1998).
MATERIALI E METODI
Tutti gli articoli e le recensioni che considerano il tema della gestione dell’ipertensione in odontoiatria sono stati ricercati sulla piattaforma online di siti di lettura scientifica come PubMed e Medline, selezionando quelli più recenti, fino a gennaio 2022, includendo qualsiasi lingua. Considerando le parole chiave “ipertensione”, “odontoiatria”, “pressione arteriosa” e “posologia”, sono stati presi in considerazione studi controllati randomizzati (RCT), studi prospettici, studi osservazionali, revisioni e studi retrospettivi. Sono stati poi esaminati i libri di testo rilevanti per l’argomento e sono state esaminate le citazioni di ogni articolo recuperato e quelle delle revisioni e delle opinioni degli esperti per includere il maggior numero possibile di conoscenze.
Gestione del paziente iperteso in odontoiatria
Prima visita odontoiatrica
Per una corretta gestione del paziente iperteso, è importante che il dentista faccia un’anamnesi medica e odontoiatrica per pianificare un piano di trattamento adeguato alle condizioni generali del paziente. Nel caso del paziente con patologia cardiaca, l’analisi deve essere approfondita, identificando il tipo di patologia cardiaca e il grado della malattia, con l’obiettivo di determinare la migliore terapia preoperatoria e postoperatoria. Nel caso del paziente iperteso, anche la sintomatologia che il paziente presenta gioca un ruolo fondamentale (Yagiela JA et al. 2007).
In questo contesto, è possibile classificare il paziente cardiopatico in diverse classi di rischio, create in base alla sintomatologia:
- classe 1: pazienti cardiopatici senza alcuna limitazione dell’attività fisica e che possono svolgere le loro attività ordinarie senza alcun disturbo;
- classe 2: pazienti con lieve limitazione dell’attività fisica che avvertono sintomi (dispnea, dolore anginoso, palpitazione, affaticamento) solo dopo un’attività più che ordinaria;
- classe 3: pazienti con marcata limitazione dell’attività fisica che non presentano disturbi a riposo, ma che accusano disturbi anche dopo attività ordinarie di grado lieve;
- classe 4: pazienti incapaci di svolgere qualsiasi attività fisica che presentano disturbi anche a riposo.
Le prime due classi sono considerate prive di rischi per il trattamento odontoiatrico ambulatoriale e il piano di cure non dovrebbe cambiare rispetto a quello che può essere eseguito in un paziente definito sano. Nei soggetti collocati nella terza e quarta classe, invece, aumenta il rischio di incorrere in complicanze legate alle malattie cardiovascolari ed è obbligatorio il consulto con il cardiologo di riferimento. Inoltre, le terapie devono essere il più possibile conservative e, se possibile, è preferibile eseguirle in ambiente ospedaliero e non ambulatoriale (Rhodus NL et al. 2001).
L’anamnesi deve essere seguita da un esame obiettivo extraorale. A questo seguirà l’esame intraorale, in cui il medico dovrà concentrarsi non solo sugli elementi dentali ma anche sui tessuti molli. Il consulto medico ed eventuali test ematochimici possono essere utilizzati per quantificare il rischio quando sono necessari interventi estesi in pazienti sintomatici o dubbi. Gli esami ematochimici tipicamente richiesti sono l’emocromo completo, la sodiemia, la potassiemia, la creatinina, la glicemia, il colesterolo totale, il colesterolo HDL, il colesterolo LDL, i trigliceridi, l’uricemia, l’esame delle urine, gli ormoni tiroidei (O’Shea PM. et al. 2016).
Gestione del paziente iperteso in ambito odontoiatrico
Dopo un’adeguata anamnesi e un’accurata valutazione odontoiatrica del paziente, è possibile approfondire l’indagine misurando la pressione arteriosa. La pressione deve essere misurata in condizioni di riposo, poiché si può riscontrare un aumento della stessa in seguito allo stress che la terapia odontoiatrica comporta.
In caso di ipertensione non controllata (pressione arteriosa sistolica > 140 mmHg o pressione arteriosa diastolica >90 mmHg), non è consigliabile alcun intervento odontoiatrico, ma è assolutamente necessario rinviare la prestazione. Il dentista è tenuto a consigliare al paziente un consulto cardiologico.
Tutte le prestazioni considerate non urgenti devono essere rimandate a un periodo successivo, dopo la corretta gestione della terapia antipertensiva. Le prestazioni ritenute urgenti e non rinviabili devono essere eseguite non in regime ambulatoriale ma in regime ospedaliero.
Se si ritiene necessario un trattamento odontoiatrico, la prima valutazione da fare riguarda la scelta dell’anestetico. Fattori importanti da tenere in considerazione sono la durata dell’intervento e l’eventuale necessità di emostasi. I vasocostrittori vengono aggiunti alla soluzione anestetica per migliorarne la durata dell’effetto e il potere vasocostrittivo (Holm SW et al. 2005).
L’uso di vasocostrittori è sempre indicato, tranne nei seguenti casi:
- ipertensione grave non controllata (200/115 mmHGg),
- aritmia refrattaria
- infarto miocardico o ictus entro 6 mesi
- angina instabile
- bypass aorto-coronarico entro 3 mesi
- insufficienza cardiaca congestizia non controllata.
Tuttavia, dagli studi di S. Malamed risulta evidente che le nuove linee guida non considerano più l’infarto miocardico un motivo valido e assoluto per escludere l’uso dei vasocostrittori, purché in dosi minime e nei casi in cui ci sia davvero una ragione per la sua inclusione.
Questo perché lo stress da dolore provoca un rilascio di catecolamine endogene 40 volte superiore a quello rilevato a riposo. Mentre, eseguendo un’anestesia 1:100 000 con una tubofiala si iniettano solo 0,018 mg di adrenalina. Sulla base di quanto appena detto, non sembrano esserci controindicazioni all’uso di anestetici con vasocostrittori nella gestione del paziente con ipertensione controllata.
Rischi operatori del paziente iperteso
Il paziente iperteso non è esposto a un rischio maggiore in odontoiatria, purché la patologia sia controllata (Yagiela JA et al. 1997). Per quanto riguarda l’anestesia locale eseguita prima del trattamento, l’uso di adrenalina con funzione vasocostrittrice non è controindicato. Infatti, è stato dimostrato che la presenza di adrenalina non provoca un aumento della pressione media perché è stato dimostrato che il suo utilizzo produce uno stress minore di quello che si verificherebbe con la produzione di catecolamine endogene rilasciate in seguito alla somministrazione di un’anestesia senza vasocostrittore (Montebrugnoli L. et al. 1990).
L’uso di un anestetico con adrenalina è quindi un ottimo alleato per il controllo del dolore intraoperatorio. La mancanza di tale controllo potrebbe creare effetti indesiderati, come l’attivazione di importanti risposte cardiovascolari (Becker DE et al. 2012). A ulteriore sostegno, vi è la considerazione che la somministrazione di circa due fiale di anestetico locale con adrenalina 1:100.000 o 1:80.000 in pazienti ipertesi non modifica significativamente la pressione arteriosa e/o la frequenza cardiaca (Serrera Figallo MA et al. 2012). Infatti, in seguito all’iniezione di una fiala di lidocaina (1,8 ml) al 2% con epinefrina 1:100.000 (0,018 mgr), i livelli plasmatici di epinefrina aumentano da due a tre volte senza provocare variazioni significative della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca; tre fiale aumentano i livelli di 5-6 volte e sono accompagnate da alterazioni emodinamiche senza sintomi; d’altra parte, lo stress derivante dal dolore può aumentare i livelli plasmatici di catecolamine endogene di 40 volte (Càceres MT et al. 2008 ). Ciò suggerisce che la risposta cardiovascolare che si verifica in seguito allo stress non è correlata all’uso di anestetici con vasocostrittori, ma piuttosto è correlata alla reazione individuale alla manovra odontoiatrica (Spivakovsky S. et al 2019). Pertanto, l’uso di anestetici combinati con agenti vasocostrittori è giustificato nella pratica clinica dell’odontoiatria: il vasocostrittore, infatti, ritarda l’assorbimento degli anestetici locali e aumenta la sicurezza del farmaco perché le dosi necessarie diminuiscono e di conseguenza anche il potenziale tossico (Becker DE et al. 1994). Un’ulteriore considerazione va fatta per il campo della chirurgia implantare per la quale l’ipertensione controllata (140/90 mmHg) non sembra essere una controindicazione assoluta. Sarà compito dell’odontoiatra misurare la pressione poco prima dell’intervento e prendere tutte le precauzioni per eseguire le manovre appropriate al fine di ridurre lo stress e la paura del paziente. In effetti, il controllo dello stress nel periodo perioperatorio sembra essenziale nei pazienti ipertesi: si possono utilizzare tecniche psicosedative, piccoli tranquillanti (5 mg di diazepam) o protossido di azoto.
I farmaci antinfiammatori non steroidei possono ridurre l’efficacia degli antipertensivi (Rhodus NL et al. 2001).
Ipertensione e parodontite
Ampi studi epidemiologici mostrano una possibile correlazione tra malattia parodontale e ipertensione; probabilmente alla base di questa relazione potrebbe esserci la presenza di uno stato infiammatorio perenne dell’organismo (De Pinto R. et al. 2020). L’infiammazione sistemica può infatti portare a un’infiammazione locale, con rilascio di mediatori dell’infiammazione parodontale come proteasi, citochine e prostaglandine. Ciò comporta la distruzione del tessuto parodontale, l’assorbimento dell’osso alveolare e, infine, la perdita dei denti (Kehui Xu et al. 2022).
Sembra che i soggetti affetti da malattia parodontale abbiano un rischio maggiore di soffrire di ipertensione e, inoltre, il controllo della pressione arteriosa potrebbe giovare alla salute orale del paziente (Aarabi G et al, 2017), (Zhou M et al 2021). La natura certa di questa associazione rimane ancora poco chiara, anche se si ritiene che questa associazione sia indipendente da fattori di rischio comuni e possa effettivamente essere di natura causale (Del Pinto R et al. 2020), (Sanz M et al. 2020). A ulteriore conferma di quanto appena detto, possiamo affermare l’esistenza di una relazione biunivoca tra le due patologie e quanto sia importante la cura dell’igiene orale domiciliare e professionale per ottenere un beneficio anche dal punto di vista cardiologico (Munoz Aguilera E. et al.2020), (Dietrich T. et al 2013).
Ipertensione e chirurgia orale
Nel caso specifico della chirurgia orale, lo specialista deve prestare particolare attenzione alla cosiddetta “ipertensione da camice bianco”, ovvero quella condizione in cui la pressione arteriosa se misurata in ambito medico indica ipertensione, mentre se misurata al di fuori dell’ambito medico rientra nel range di normalità di 50. Nel caso in cui la pressione arteriosa sistolica superi i 200 mmHg, è indicato interrompere qualsiasi pratica odontoiatrica.
Per contrastare l’ipertensione temporanea e portare a termine la procedura odontoiatrica in sicurezza, potrebbe rivelarsi utile la somministrazione di farmaci come il midazolam o il propofol o l’utilizzo di una sedazione endovenosa.
CONCLUSIONI
Gli autori di questa revisione sono concordi nell’affermare che l’ipertensione controllata non rappresenta una controindicazione al trattamento odontoiatrico e chirurgico; tuttavia, in alcuni casi, si possono riscontrare anomalie pressorie dovute a forte stress attribuibili all’ambiente ospedaliero (ipertensione da camice bianco), che, se dovessero determinare una pressione superiore a 200 mmGH nella fase pre-chirurgica, dovrebbero portare all’interruzione del trattamento clinico.
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All articles and reviews that consider the topic of hypertension management in dentistry were searched on the online platform of scientific reading sites such as PubMed and Medline, selecting the most recent ones, up to January 2022, including any language. Considering the keywords “hypertension”, “dentistry”, “blood pressure” and “dosage”, randomized controlled trials (RCTs), prospective studies, observational studies, reviews and retrospective studies were considered. Textbooks relevant to the topic were then examined and citations of each retrieved article and those of expert reviews and opinions were examined to include as much knowledge as possible.
Considering the issues relating to the treatment of a patient with hypertension in the dental field, this narrative review aims to highlight the approaches and guidelines to keep in mind when approaching a hypertensive patient.
By analyzing the data from the literature, it was possible to deduce that hypertension must be carefully followed and treated with due precautions, especially in the pre-surgical phase.
Controlled hypertension does not represent a contraindication to dental and surgical treatment; however, in some cases, blood pressure anomalies may be found due to strong stress attributable to the hospital environment (white coat hypertension), which if they were to lead to a pressure higher than 200 mmGH in the pre-surgical phase should lead to the interruption of treatment clinical.