Per molti anni, l’uso dei materiali compositi è aumentato in seguito alla crescente richiesta da parte dei pazienti di restauri metal-free. Questa tendenza è sollecitata soprattutto da parte di quei pazienti che desiderano un’alternativa estetica per il restauro in caso di lesioni cariose o denti traumatizzati, nonché pazienti che sono preoccupati delle potenziali reazioni avverse sistemiche dei restauri in amalgama (1).
Negli ultimi anni, sul mercato sono stati introdotti diversi nuovi materiali per i restauri diretti in composito (2-5). Oltre ai tradizionali compositi ibridi e nanoibridi per uso universale, ora i clinici hanno a disposizione un’ampia gamma di compositi altamente estetici in linea con le crescenti esigenze dei pazienti. Questi compositi offrono un ampio numero di tinte e diverse opacità e traslucenze (6). È quindi essenziale avere una certa esperienza nella gestione di questi materiali che vengono utilizzati, soprattutto nelle situazioni anteriori ad alta valenza estetica, con la tecnica di stratificazione policromatica con diverse opacità e traslucenze (6, 7).
La maggior parte dei compositi dentali da restauro contengono matrici di monomeri organici basati sulla tradizionale chimica dei metacrilati, come il BisGMA e i suoi derivati, UDMA e TEGDMA, che è il monomero diluente più spesso utilizzato (8). Le formulazioni chimiche alternative utilizzano i silorani (5, 9-13) e gli ormocer (14-22).
Gli ormocer (organically modified ceramics – ceramiche modificate organicamente) sono materiali compositi inorganici non metallici, modificati organicamente (23): ibridi copolimeri inorganici-organici, composti da una rete inorganica di vetro-Si-O-Si (molecola portante) e da una fase polimerica organica (19, 24-26). Questo tipo di materiale è stato sviluppato dal Fraunhofer Institute for Silicate Research ISC, Würzburg, in collaborazione con partner dell’industria dentale e introdotto come materiale da restauro per la prima volta nel 1998 (16, 17). Finora, gli ormocer dentali esistenti contenevano nella matrice ancora monomeri convenzionali per avere migliori caratteristiche di gestione e manipolazione (oltre a iniziatori, stabilizzatori, pigmenti e particelle di riempitivo inorganico) (24, 25, 27). Quindi, è meglio riferirsi a questi materiali come compositi a base di ormocer.
Il nuovo Admira Fusion (Voco) introdotto nel 2015 presenta una chimica ormocer nella matrice senza alcun ulteriore dimetacrilato convenzionale e particelle di riempitivo inorganico nanoibrido (84 in peso %). Questo materiale da restauro privo di diluente dovrebbe mostrare una maggior biocompatibilità (24). È disponibile in un’ampia gamma di tinte in tre livelli di traslucenza/opacità (10 tinte Vita universali, 4 tinte dentina opache, 4 tinte speciali), e può essere applicato con una tecnica semplificata mono-tinta nelle cavità posteriori, nonché utilizzato con una tecnica di stratificazione policromatica più complessa quando si restaurano difetti in denti con valenza estetica.
Per Admira Fusion sono state misurate una contrazione da polimerizzazione pari solo a 1,25 vol. % e una bassa contrazione da stress (3,87 MPa). L’ormocer può essere applicato in cavità in incrementi fino a 2 mm. Ciascun incremento deve essere polimerizzato per 20-40 secondi (intensità della lampada fotopolimerizzatrice > 500 mW/cm2).
Caso clinico
Una paziente di 51 anni si è presentata nel nostro studio per la sostituzione di un restauro in amalgama incongruo nel dente 16 (fig. 1). Durante l’ispezione clinica, il dente reagiva in modo sensibile al test del freddo e non mostrava alcuna reazione negativa al test di percussione. Dopo che la paziente è stata informata riguardo alle possibili opzioni di trattamento e i relativi costi, ha deciso a favore di un restauro diretto in ormocer con Admira Fusion (Voco).
Il trattamento è iniziato con un’accurata pulizia del dente interessato da depositi esterni, mediante pasta per profilassi senza fluoro e una coppetta di gomma. Dopo la somministrazione di anestetico locale, è stato rimosso il vecchio restauro in amalgama, prestando attenzione a conservare i tessuti duri residui (fig. 2).
A causa dell’espansione della carie, la cavità doveva essere estesa alla superficie mesiale. Il dente è stato escavato e successivamente la cavità è stata completamente preparata e finita con una fresa diamantata fine (fig. 3).
La determinazione della tinta è stata fatta sul dente umido prima dell’applicazione della diga di gomma (fig. 4),
con cui il dente è stato successivamente isolato (fig. 5).
La diga di gomma separa il sito operatorio dalla cavità orale assicurando un’area di lavoro pulita dalla contaminazione (sangue, fluido sulculare e saliva). La contaminazione di smalto e dentina porterebbe a un’adesione marcatamente inferiore del materiale da restauro ai tessuti dentali duri e metterebbe a repentaglio il successo a lungo termine del restauro in composito con un’ottimale integrità marginale. Inoltre, la diga di gomma protegge il paziente da sostanze irritanti, quali il sistema adesivo. È quindi un ausilio essenziale per assicurare un’elevata qualità e facilitare il lavoro in odontoiatria adesiva. Il minimo sforzo richiesto per la sua applicazione è compensato dal fatto che l’assistente non deve sostituire i rulli di cotone e il paziente non necessita di risciacqui continui.
È stata utilizzata una matrice in metallo sezionale per delimitare la cavità a tre superfici, è stata sigillata nel margine gengivale usando un cuneo in plastica di forma anatomica (fig. 6).
L’anello in nickel-titanio ha stabilizzato la matrice, esercitando un’ottimale forza di separazione sui denti adiacenti per produrre un contatto serrato per il nuovo restauro (fig. 7).
Per ottimizzare i contorni, la matrice è stata attentamente modellata con uno strumento manuale. La formazione di superfici prossimali fisiologicamente contornate con contatti serrati ai denti adiacenti rappresenta ancora una sfida nel caso di restauri diretti in composito. Al contrario dell’amalgama, i compositi mostrano un certo recupero viscoelastico dalla distorsione, il che è spesso non desiderabile dall’utilizzatore e complica l’adattamento delle matrici ai denti adiacenti mediante esercizio di pressione (28, 29).
Per l’adesione è stato scelto l’adesivo universale avanzato Futurabond U (Voco), compatibile con tutte le tecniche di mordenzatura: tecniche self-etch ed etch basate su acido fosforico (approccio etch-and-rinse: mordenzatura selettiva dello smalto o tecniche total-etch-and-rinse che coinvolgono smalto e dentina). In questo caso clinico, l’adesivo è stato applicato con la tecnica etch-and-rinse sia su smalto che su dentina. È stato applicato acido ortofosforico al 35% (Vococid, Voco) lungo i margini di smalto per un tempo di reazione di 15 s (fig. 8),
seguito da un ulteriore condizionamento della dentina per ulteriori 15 secondi (fig. 9).
Successivamente, la cavità è stata accuratamente lavata per 20 secondi con spray aria-acqua, per rimuovere l’acido e i residui di precipitazione, e asciugata delicatamente con aria per rimuovere l’umidità eccessiva, evitando di essiccare la dentina (fig. 10).
Sono state applicate grandi quantità di Futurabond U e distribuite generosamente nell’area della cavità mediante un microbrush (fig. 11).
Bisogna assicurarsi che tutte le aree della cavità siano sufficientemente ricoperte di adesivo. Dopo almeno 20 secondi di accurato massaggio dell’adesivo sulla superficie dentale, il solvente è stato fatto accuratamente evaporare dall’agente adesivo con aria compressa esente da olio, fino a ottenere un film di adesivo stabile e lucente (fig. 12).
Poi, l’agente adesivo è stato successivamente fotopolimerizzato per 10 secondi (fig. 13).
Il risultato è una cavità lucente, ricoperta in modo uniforme da adesivo (fig. 14).
Questo dovrebbe essere accuratamente verificato, in quanto eventuali aree della cavità che risultino opache sono un’indicazione del fatto che è stata applicata una quantità insufficiente di adesivo su quei siti. Nel peggiore dei casi, questo potrebbe portare a una ridotta adesione del restauro in tali aree e, nello stesso tempo, un ridotto sigillo della dentina, il che potrebbe causare sensibilità postoperatoria. Se l’ispezione visiva identifica tali aree, è necessario applicare in modo selettivo ulteriore adesivo su di esse.
L’ormocer Admira Fusion è stato applicato in cavità, iniziando dall’estensione mesiale prossimale. L’intera parete prossimale è stata ricostruita fino alla cresta marginale con un nuovo microbrush pulito, in quanto perfetto e accurato strumento di modellazione del materiale di restauro (fig. 15).
Il primo incremento di composito è stato polimerizzato con una lampada fotopolimerizzatrice ad elevate prestazioni (intensità > 500 mW/cm2) per 20 secondi (fig. 16).
Quindi, la cavità di II Classe è stata trasformata in una “I Classe funzionale” (fig. 17).
Una volta che la parte prossimale in composito è stata sufficientemente polimerizzata, la matrice non era più necessaria ed è stata quindi rimossa completamente (fig. 18). Come risultato, il campo operatorio è diventato più facilmente accessibile con gli strumenti di modellazione per le successive fasi operative e per il controllo visivo, migliorando così l’applicazione degli ulteriori incrementi di composito.
Con il secondo strato di Admira Fusion, il pavimento della cavità è stato livellato per assicurare un’area uniforme con uno spessore massimo dell’incremento di 2 mm per il successivo sviluppo delle strutture anatomiche della superficie occlusale (fig. 18).
Con i successivi incrementi del materiale da restauro ormocer è stata ricostruita la morfologia occlusale del dente, cuspide per cuspide (tecnica sequenziale delle cuspidi), iniziando da quella mesio-buccale (fig. 19),
proseguendo con quella mesio-palatale (fig. 20) e finendo con l’applicazione delle cuspidi disto-palatali e disto-buccali (fig. 21).
Questa tecnica permette di ricostruire l’anatomia occlusale in un modo molto semplice, predicibile e riproducibile e consente un’eccellente approssimazione al substrato naturale. Dopo il posizionamento di ciascuna cuspide, il materiale da restauro è stato fotopolimerizzato per 20 secondi (fig. 22).
Dopo l’ultima applicazione di composito, sono stati eseguiti ulteriori cicli di polimerizzazione di 20 secondi da mesio-palatale (fig. 23) e mesio-buccale (fig. 24)
nella regione del box prossimale, soprattutto nella sede gengivale, per assicurare che tutte le aree precedentemente coperte dalla matrice venissero sufficientemente polimerizzate.
Prima di rimuovere la diga di gomma, è stato controllato che il restauro non avesse imperfezioni.
L’anatomia occlusale di fessure e fossa è stata rifinita con una fresa diamantata a pera. Nella fase successiva della sequenza di finitura standard, è stata utilizzata una fresa diamanta fine a punta per rifinire la convessità delle cuspidi e delle creste triangolari. Dopo l’eliminazione delle interferenze occlusali e della modifica dell’occlusione statica e dinamica, le aree prossimali accessibili sono state contornate e prelucidate con dischi abrasivi. L’uso di strumenti lucidanti per composito diamanti (Dimanto) ha permesso di ottenere una finitura lucente e satinata della superficie liscia del restauro. La successiva lucidatura ad elevata brillantezza è stata ottenuta con gli stessi strumenti Dimanto con una pressione ridotta per ottimizzare la lucentezza del materiale da restauro. La figura 25 mostra il restauro diretto in ormocer completato, con ricostruzione della forma originale del dente con una superficie anatomica e funzionale, un’area di contatto prossimale formata in modo fisiologico e un eccellente aspetto estetico. Per completare il trattamento, è stata applicata una vernice al fluoro (Bifluorid 12, Voco) al dente interessato, mediante una spugnetta.
Conclusioni
Il bisogno di materiali compositi per restauri diretti crescerà anche in futuro. Quindi, sono assolutamente necessari materiali compositi di elevata qualità, scientificamente provati e testati e clinicamente ben documentati. Questi restauri rappresentano un’opzione di trattamento permanente di elevata qualità e scientificamente provata per la regione posteriore sottoposta a carico masticatorio e la loro affidabilità è ben documentata in letteratura (30-35). I risultati di una accurata revisione hanno mostrato che la percentuale di fallimento annuale dei restauri diretti in composito nei denti posteriori (2,2%) non è statisticamente differente da quella dei restauri in amalgama (3,0%) (32).
I protocolli di trattamento minimamente invasivi in combinazione con la possibilità di rilevare lesioni cariose in una fase molto precoce stanno avendo un effetto positivo sulla sopravvivenza a lungo termine dei restauri dentali. Nonostante ciò, un restauro diretto in composito di elevata qualità con eccellente adattamento marginale continua a dipendere da un numero di prerequisiti, come l’accurato posizionamento della matrice (se sono coinvolte aree prossimali) l’efficace e corretta applicazione del sistema adesivo, l’appropriata gestione del materiale da restauro e la sufficiente polimerizzazione del composito.
Complementari ai compositi a base di metacrilati tradizionali, le opzioni nell’ambito dei materiali da restauro fotoattivati applicati direttamente si sono ampliate grazie a una versione ormocer nanoibrida che nella sua formulazione non contiene alcun dimetacrilato convenzionale. ●
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