L’obiettivo principale dell’articolo è una ricerca bibliografica volta a comprendere in maniera più dettagliata la possibile eziologia e il trattamento migliore da offrire al paziente affetto da difetto di eruzione primaria.
La ricerca bibliografica è stata effettuata su siti e riviste scientifiche note come PubMed, European Journal of Orthodontics e American Journal of Orthodontics and Dentofacial Orthopedics. Sono stati presi in considerazione 20 articoli. Il criterio di ricerca si è basato su articoli che avessero una validità scientifica e una ricerca approfondita e accurata dell’argomento. Non sono stati presi in considerazioni lavori datati più di 20 anni aventi un basso riscontro scientifico.
Il difetto primario di eruzione è riconducibile a una mutazione del gene PTH1P il quale è responsabile della corretta regolazione del metabolismo dell’osso e del calcio a livello locale. Inoltre, questo gene è strettamente relazionato all’eruzione dei denti in età evolutiva. Il trattamento deve essere multidisciplinare ed è personalizzato a seconda della gravità e dell’estensione del caso clinico.
Data la complessità e la rarità della patologia, sono necessarie ricerche aggiuntive e più approfondite per comprendere meglio l’eziopatogenesi, come poter procedere ad una diagnosi precoce ed il trattamento elettivo necessario. Ad oggi, un caso affetto da PFE si risolve in maniera multidisciplinare: si parte dalla chirurgia per l’estrazione del dente affetto, alla protesica e all’ortodonzia per poter collimare il più possibile l’occlusione ed allineare i denti.
Introduzione
L’eruzione dentale è un processo fisiologico che guida il dente dalla posizione di sviluppo, ovvero quella infraossea, ad una posizione funzionale di occlusione. Tutto ciò è possibile grazie a un movimento assiale o occlusale del dente, il quale procede lungo questa direzione per tutta la vita in quanto deve, oltre che compensare l’abrasione dello smalto data dal carico occlusale, stimolare la crescita e il rimodellamento osseo. Difatti, un qualsiasi tipo di ostruzione o di alterazione del percorso eruttivo porterebbe il dente ad una condizione di difetto. Quest’ultima comporterà un susseguirsi di problematiche nella crescita e nello sviluppo del terzo inferiore del viso (1).
Esistono tre condizioni per le quali un dente non raggiunge la sua posizione funzionale: il difetto meccanico di eruzione (Mechanical Failure of Eruption MFE), la ritenzione primaria e la ritenzione secondaria.
Il difetto meccanico di eruzione è caratterizzato da un dente impattato a causa di una barriera fisica di origine patologica o idiopatica che ostruisce il percorso di eruzione. Un chiaro esempio è una precoce perdita di denti decidui che porta alla chiusura degli spazi per i denti permanenti o la presenza di una cisti.
Lo scenario di una ritenzione primaria è quello in cui il processo di eruzione viene interrotto senza alcun tipo di ostacolo fisico o coinvolgimento a livello locale o sistemico. Ne è un esempio il difetto primario di eruzione (Primary Failure of Eruption, PFE) caratterizzato da un morso aperto posteriore unilaterale o bilaterale (2).
La ritenzione secondaria, invece, si manifesta quando il processo di eruzione viene interrotto a causa, per esempio, di un trauma e il dente rimane infra-occluso; si suggerisce l’anchilosi come eziopatogenesi.
Entrambi i tipi di ritenzione vengono classificati come difetti localizzati di eruzione (3).
In questo articolo viene preso in considerazione la ritenzione primaria, affrontando principalmente l’argomento riguardante il difetto primario di eruzione. In particolare, si esamina l’eziologia e il trattamento.
MATERIALI E METODI
La ricerca bibliografica è stata effettuata su siti e riviste scientifiche note come PubMed, European Journal of Orthodontics e American Journal of Orthodontics and Dentofacial Orthopedics. Sono stati presi in considerazione 20 articoli. Il criterio di ricerca si è basato su articoli che avessero una validità scientifica e una ricerca approfondita ed accurata dell’argomento. Non sono stati presi in considerazioni lavori datati più di 20 anni aventi un basso riscontro scientifico.
DISCUSSIONE
Il difetto primario di eruzione è una malattia rara non sindromica che ha una prevalenza del 0,06% secondo quanto riportato da Bacetti (4). Il dente cessa o non inizia del tutto il processo eruttivo senza alcun ostacolo fisico presente. Coinvolge i denti non anchilosati ed è definito da un morso aperto posteriore unilaterale o bilaterale, da anomalie nella morfologia radicolare e da una diminuzione dell’altezza interadicolare (5,6).
Sia i denti decidui che quelli permanenti possono essere affetti da un difetto primario di eruzione e solo i denti posteriori sono coinvolti. In più, esistono anche forme isolate e relazionate a condizioni sistemiche.
Secondo la classificazione di Frazier-Bower et al. (7) esistono tre tipi di PFE:
- Il tipo I presenta un difetto di eruzione che coinvolge più denti definito da un morso aperto progressivo antero-posteriore;
- Il tipo II presenta un leggero difetto di eruzione del dente distale al dente più mesiale coinvolto. Si può asserire sia un tipo I con segni clinici più gravi sebbene esista un’eruzione non adeguata del secondo molare;
- Il tipo III presenta entrambi i tipi di difetti sopra menzionati, è così raro che una propria definizione non è stata ancora propriamente delineata.
Il PFE più diffuso è il tipo I, seguono il tipo II e III (figura 1) (8).
RISULTATI
L’eziologia del PFE è riconducibile a quella familiare con una mutazione del gene autosomico recessivo PTH1R, mentre l’origine non genetica rimane, ancora oggi, sconosciuta.
La proteina ligando correlata al paratormone (PTHrP) regola in maniera locale il metabolismo dell’osso e del calcio, mentre a livello sistemico è riconducibile al paratormone (PTH). Il PTHrP e il suo recettore dell’ormone paratiroideo 1 (PTH1P) costituiscono ciò che si definisce “sistema PTHrP-PPR” e sono responsabili della corretta formazione e funzione dello sviluppo del parodonto e cioè del cemento, dell’osso alveolare e del legamento paradontale. Ulteriori studi affermano che un problema nel segnale di questi recettori da parte del follicolo dentale comporta una certa anchilosi o ritenzione del dente (9-11).
È riconosciuto, inoltre, che coloro i quali hanno una mutazione genetica in corrispondenza del gene PHT1P soffrono di altre malformazioni a livello osseo. Patologie legate a questo errore genetico che induce una displasia scheletrica sono per esempio la condrodisplasia e osteocondrodislasia di Blomstrand e condrodisplasia di Jansen, sindromi letali non compatibili con la vita (11-13).
Quando il PTH1P viene attivato, gli osteoblasti esprimono il RANKL il quale attiva a sua volta il recettore RANK sulla superficie delle cellule osteoclaste e promuove la differenziazione osteoclastica. Uno squilibrio tra i recettori porta a uno scompenso o a una sovraespressione di alcune attività legate alla crescita ossea. Il valore del RANK è direttamente proporzionale all’attività osteoclastica e alla velocità dell’eruzione dentale. Così se il RANK è aumentato, anche l’attività osteoclastica sarà aumentata, e l’eruzione dentale sarà precoce. Al contrario, se il RANK è diminuito, anche l’attività osteoclastica sarà diminuita e l’eruzione dentale sarà tardiva. Nel caso in cui il RANKL fosse anche solo parzialmente diminuito, la crescita sarà rallentata in maniera moderata (10).
Un altro gene coinvolto e cruciale per lo stage eruttivo è l’osteoprotegerina (OPG) essa possiede un’alta affinità al RANKL, inibendo quindi l’attivazione da parte del RANK.
Il difetto primario di eruzione, essendo definito da una problematica derivante da una malfunzione del follicolo dentale, ne conseguono malformazioni di tipo anatomico.
Come citato precedentemente, il PFE coinvolge sia la dentizione decidua che quella permanente. Di norma, se i denti decidui hanno un difetto primario di eruzione, allora almeno anche un dente permanente ne è affetto.
Altre conformazioni anatomiche da rendere note sono l’assorbimento esterno delle radici o le curvature molto accentuate delle stesse, la mancanza del legamento paradontale, la malformazione del cemento radicolare, e il difetto dell’osso alveolare. Generalmente, in pazienti affetti dal PFE, sono presenti solo un incisivo laterale dell’arcata superiore, tre secondi premolari e un’eruzione tardiva dei denti che spesso sono ritenuti e trasposti (14,15).
Il criterio di diagnosi deve essere sempre in primis riconducibile a una mutazione genetica del PTH1P, successivamente si può indagare alla ricerca di segni caratteristici come quelli citati precedentemente.
Numerosi esperimenti e studi scientifici rimarcano l’impossibilità di spostare in maniera ortodontica i denti affetti da PFE in quanto produce solamente un effetto anchilosante del dente e di conseguenza, quindi, ad uno scenario peggiore del caso da trattare. È da sottolineare che il piano di cura deve essere dunque multidisciplinare e varia a seconda della gravità e dell’età del paziente.
In un paziente in età evolutiva, si deve attendere fino alla fine della crescita verticale del cranio per poter procedere con un trattamento definitivo e longevo. La strategia da applicare è il wait and watch e cioè attendere ed osservare il paziente fino al termine della crescita nel frattanto che si gestiscono gli spazi presenti.
Al termine della crescita ossea, è possibile ricorrere a restauri diretti e indiretti col fine di collimare l’occlusione posteriore se l’open bite risulta essere <5 mm, all’estrazione dei primi molari affetti da PFE e all’inserimento di impianti previa rigenerazione ossea se necessaria (16,17).
In un paziente in età adulta, un trattamento valido è la decoronazione, quindi la privazione della corona, del dente anchilosato previamente trattato con l’idrossido di calcio per promuovere l’azione antibatterica e l’apposizione di dentina. Si esegue un lembo mucoperiosteo e si procede con l’asportazione solo della parte coronale del dente di almeno 1.5-2.0 mm sotto la cresta alveolare. La medicazione mediante idrossido di calcio viene eliminata e i canali vengono trattati in maniera endodontica con delle lime manuali o rotatorie per indurre il sanguinamento. Tale processo è fondamentale in quanto stimola il riassorbimento interno della radice. Il lembo viene poi suturato per una completa copertura della radice. Questa fase promuove la formazione dell’osso, il residuo radicolare serve da matrice e ha il compito di mantenere lo spessore osseo presente. Si attende la guarigione ossea che risulta essere di 6 mesi per l’osso mandibolare e 12 mesi per quello del mascellare superiore. Grazie al volume osseo conservato, si può proseguire con la fase implanto-protesica per la riabilitazione del settore posteriore (18,19).
Un’ ulteriore alternativa è l’utilizzo del dente affetto da PFE come ancoraggio. Le forza prodotte inducono l’anchilosi dell’elemento dentario il quale viene adoperato come ancoraggio per allineare i denti adiacenti. Viene dunque impiegato il principio delle miniviti Tads. Il dente anchilosato presenta, infatti, caratteristiche biologicamente comparabili con l’osteointegrazione degli impianti e delle miniviti ortodontiche. Lo step successivo rimane l’estrazione del dente anchilosato che viene sostituito con un impianto. Nonostante la validità del trattamento, sono necessari studi addizionali per arricchire la validità scientifica in letteratura (20).
Caso clinico
All’attenzione del reparto di ortognatodonzia dell’ospedale San Raffaele di Milano arriva un paziente il cui motivo di visita è una insoddisfazione riguardo il pregresso trattamento ortodontico in età adolescenziale e una richiesta sul recupero dei molari. Col fine di una corretta diagnosi e valutazione dei denti inclusi, vengono richiesti gli esami radiologici (TC, ortopantomografia e laterolaterale del cranio) (figura 2) e gli esami genetici. A causa di una mancanza da parte del paziente, questi ultimi non sono stati approfonditi e gli esami TC e TX non sono stati rilevati in massima intercuspidazione, pertanto non si ritengono validi.
Vengono rilevate le impronte con scanner intraorale (figura 3).
Il paziente presenta un tipo II di PFE, in quanto il caso è un open bite progressivo con una presenza di un certo livello di ritenzione del secondo molare sia mascellare sia mandibolare. Questo deficit occlusale posteriore, ha comportato un overbite di 5 mm (figura 4).
Come suggeritoci dalla letteratura, il trattamento con un dispositivo ortodontico per la collimazione dell’occlusione risulterebbe un tentativo vano. Per questa ragione, si decide di estrarre gli elementi dentari 1.8, 2.8, 3.8 e anche il 4.7 in quanto la sua accentuata mesioinclinazione non suggerisce una prognosi favorevole al recupero.
Il fine ultimo di questa prima fase è una risoluzione dell’occlusione del settore posteriore per poter iniziare a dare una dimensione verticale adeguata. Tutto ciò risolvibile con un build-up protesico di 1.6, 2.6, 3.6, 4.6 e un allineamento e livellamento da 1.5 a 2.5 e da 3.5 a 4.5 sfruttando i sesti come ancoraggio secondo il principio delle miniviti Tads essendo elementi che svilupperanno un’anchilosi.
La seconda fase consiste in una rivalutazione della prognosi ed una eventuale riabilitazione implanto-protesica previa estrazione di 1.6, 2.6, 3.6 e 4.6.
CONCLUSIONI
I pazienti affetti da PFE solitamente sono accompagnati da altre problematiche a livello sistemico, sindromiche o meno. È ormai certo, grazie a numerosi studi e ricerche, che l’eziologia genetica è riconducibile ad un errore genetico a livello del gene autosomico recessivo PTH1P, mentre quella non genetica rimane ancora ad oggi ignota.
Data la complessità e la rarità della patologia, sono necessarie ricerche aggiuntive e più approfondite per comprendere meglio l’eziopatogenesi, come poter procedere ad una diagnosi precoce ed il trattamento elettivo necessario. Ad oggi, un caso affetto da PFE si risolve in maniera multidisciplinare: si parte dalla chirurgia per l’estrazione del dente affetto, alla protesica e all’ortodonzia per poter collimare il più possibile l’occlusione ed allineare i denti.
1. Raghoebar GM, Boering G, Vissink A, Stegenga B. Eruption disturbances of permanent molars: a review. Journal of Oral Pathology & Medicine. 1991;20:159–66.
2. Ahmad S, Bister D, Cobourne MT. The clinical features and aetiological basis of primary eruption failure. Vol. 28, European Journal of Orthodontics. 2006. p. 535–40.
3. Grippaudo C, D’Apolito I, Cafiero C, Re A, Chiurazzi P, Frazier-Bowers SA. Validating clinical characteristic of primary failure of eruption (PFE) associated with PTH1R variants. Progress in Orthodontics. 2021 Dec 1;22(1).
4. Bacetti T. Tooth anomalies associated with failure of eruption of first and. American Journal of Orthodontics and Dentofacial Orthopedics. 2000;118(6):608–10.
5. Tokavanich N, Gupta A, Nagata M, Takahashi A, Matsushita Y, Yatabe M, et al. A three-dimensional analysis of primary failure of eruption in humans and mice. Oral Diseases. 2020 Mar 1;26(2):391–400.
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10. Gama A, Maman L, Vargas-Franco JW, Omar R, Royer BB le, Yagita H, et al. Primary retention of molars and RANKL signaling alteration during craniofacial growth. Journal of Clinical Medicine. 2020 Apr 1;9(4).
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16. Awad MG, Dalbah L, Srirengalakshmi M, Venugopal A, Nikhilesh R. Vaid NR. Review and case report of the treatment in a young girl with primary failure of eruption. Vol. 10. 2022.
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20. Angelopoulou M v., Koletsi D, Vadiakas G, Halazonetis DJ. Induced ankylosis of a primary molar for skeletal anchorage in the mandible as alternative to mini-implants. Progress in Orthodontics. 2015 Dec 1;16(1).
The bibliographic search was carried out on well-known scientific sites and journals such as PubMed, European Journal of Orthodontics and American Journal of Orthodontics and Dentofacial Orthopedics. 20 articles were considered. The search criterion was based on articles that had scientific validity and in-depth and accurate research on the topic. Works dated more than 20 years with little scientific support were not taken into consideration.
The main objective of the article is a bibliographic research aimed at understanding in more detail the possible etiology and the best treatment to offer to the patient suffering from primary eruption defect.
The primary eruption defect is attributable to a mutation of the PTH1P gene which is responsible for the correct regulation of bone and calcium metabolism at a local level. Furthermore, this gene is closely related to the eruption of teeth in developmental age. Treatment must be multidisciplinary and personalized depending on the severity and extent of the clinical case.
Given the complexity and rarity of the pathology, additional and more in-depth research is needed to better understand the etiopathogenesis, how to proceed with an early diagnosis and the necessary elective treatment. To date, a case affected by PFE is resolved in a multidisciplinary manner: starting from surgery for the extraction of the affected tooth, to prosthetics and orthodontics in order to collimate the occlusion as much as possible and align the teeth.