Illustrare il concetto di DOP dentistry (digital ortho paediatric dentistry) nell’odontoiatria infantile quotidiana.
Partendo dall’imprescindibile necessità di “pensare e agire ortho pedo”, viene introdotto un nuovo concetto nella cura del piccolo paziente, che integra le competenze dell’ortodonzia intercettiva e dell’odontoiatria pediatrica. Viene illustrato un utilizzo semplice e alla portata di tutti delle tecnologie digitali e dei nuovi strumenti oggi disponibili, per una cura confortevole ed efficiente a 360° del piccolo paziente.
L’approccio illustrato risulta pratico e vincente nel promuovere in modo integrato la salute orale e guidare la crescita e il sorriso dei piccoli pazienti, indossando le vesti dell’ortopedodontista da parte dello stesso clinico o nell’ambito di un team affiatato che lavora fianco a fianco e che non può più vedere le due discipline, ortodonzia pediatrica e odontoiatria infantile, come distinte.
Sulla base del concetto DOP dentistry si aprono nuovi e affascinanti scenari che ci porteranno ad una gestione sempre più integrata del piccolo paziente, delle sue necessità e di quelle della sua famiglia, oltre l’aspetto clinico.
Introduzione
L’acronimo DOP (digital ortho paediatric dentistry) è nuovo termine introdotto dagli autori che indica la perfetta integrazione tra le discipline dell’odontoiatria infantile e quella dell’ortodonzia intercettiva o pediatrica, definendo quindi un nuovo standard nella cura del piccolo paziente. Infatti nella moderna odontoiatria è sempre più importante che il professionista che decide di prendere in cura i bambini abbia competenze e capacità che abbraccino entrambe queste discipline, per troppo tempo rimaste divise e scollegate (1). A queste si deve aggiungere il terzo ingrediente, che fa da collante e le completa entrambe: il digitale, rappresentato in tutte le sue sfumature dalle nuove tecnologie.

Il concetto DOP: l’integrazione perfetta
La base da cui partire è un approccio che potremmo definire “pedo first”, ovvero diagnosi precoce di lesioni cariose sugli elementi decidui. Le moderne tecniche di transilluminazione sono in grado di diagnosticare tempestivamente piccole lesioni iniziali, permettono spesso di evitare esami radiologici più invasivi e hanno un effetto motivazionale veramente importante sui genitori del paziente, che possono vedere in real time la carie come se stessimo eseguendo una “ecografia dentale” (fig. 1-2). La diagnosi precoce ha anche lo scopo di poter intervenire su cavità piccole, quindi con margini in smalto sopragengivali, che sono garanzia di un perfetto sigillo marginale e di una lunga durata nel tempo. Intervenire precocemente è quindi più semplice, più predicibile, più efficace ed efficiente. Una volta che i denti decidui sono stati correttamente restaurati, essi possono, anzi devono essere sfruttati in campo ortodontico come ancoraggio per le apparecchiature che vengono routinariamente utilizzate nella fase 1 di trattamento. Tra questi dispositivi più utilizzati un posto preminente è sicuramente occupato dall’espansore rapido palatino, che oggi è ridisegnato dalle nuove tecnologie e assume nuovi e affascinanti design. L’espansore rapido è uno dei dispositivi più conosciuti e sfruttati, grazie alla sua efficacia nella correzione scheletrica delle discrepanze trasversali, problematica molto comune nei piccoli pazienti, alla quasi totale assenza di compliance e alla sua incredibile versatilità di applicazione (2). Esiste un’ampia letteratura che dimostra come l’ancoraggio sugli elementi decidui superiori, in particolare E e C, sia una procedura efficace ed efficiente (3–8) ed oggi rappresenta quindi il gold standard per l’ortodontista pediatrico.
L’utilizzo di bande sui secondi molari decidui elimina completamente tutte le problematiche a carico delle radici dei primi molari superiori, come deiscenze, fenestrazioni o danni radicolari (9). Ma non solo: l’espansore palatale ad ancoraggio deciduo permette di ottenere una correzione spontanea dei molari permanenti in morso incrociato o permette di gestire attivamente il movimento degli stessi in modo differenziato durante la fase di contenzione post-espansione e con il dispositivo ancora in situ (10, 11).
Un contributo importante al riguardo è stato recentemente dato dal lavoro di Quinzi et al. (12) che ha individuato nella HPC line un importante fattore predittivo per determinare la qualità dell’ancoraggio offerto dal secondo molare deciduo. La HPC line (figura 3) è una linea passante per la metà della camera pulpare del primo molare permanente e parallela al piano occlusale che viene tracciata nell’ortopantomografia iniziale del paziente. Viene quindi analizzata la posizione della punta della cuspide del secondo premolare definitivo in rapporto a tale linea: se la punta della cuspide è sopra (apicale) a tale linea, quindi nella green zone, l’ancoraggio radicolare del secondo molare deciduo sarà sufficiente a supportare le forze ortopediche dell’espansore e non si dislocherà, se viceversa la punta è sotto (coronale) a tale linea, nella red zone, l’ancoraggio sarà inefficace e il dente si dislocherà.

Questo nuova metodica è stata successivamente confronta con il metodo precedentemente usato che si basa sul rapporto corona/radice del molare deciduo, dimostrando maggiore efficacia e accuratezza (13).
Negli ultimi anni la digitalizzazione in campo ortodontico ha modificato il classico design dell’espansore, che ha assunto forme e sfumature diverse. Tutto il workflow è stato rivoluzionato dall’avvento del digitale: l’impronta iniziale può essere presa con uno scanner intraorale anche direttamente in prima visita, poichè la velocità della presa dell’impronta, la minima invasività e l’assoluto comfort rendono l’impronta ottica estremamente accettabile anche per i piccoli pazienti, diventando un gioco che si integra nel percorso “ludico” della prima visita.
Nella preparazione dell’espansore oggi può essere evitato il passaggio della prova bande, risparmiando così un appuntamento per il paziente ed eliminando anche il fastidio della compressione gengivale della banda metallica: di conseguenza, dalla prima impronta iniziale acquisita con lo scanner è possibile passare direttamente alla fabbricazione del dispositivo che sarà cementato direttamente nella seduta successiva. Inoltre, il perfetto adattamento dell’espansore e la precisione di costruzione rendono la fase di cementazione molto meno difficoltosa e dolorosa rispetto all’inserimento classico di bande interdentali e molto più rapida.


Le nuove tecnologie permettono la creazione di bande customizzate sia con software open-source sia con software dedicati al disegno odontotecnico (fig. 4-5). Una descrizione completa di quello che oggi può essere definito lo state dell’arte nell’utilizzo dei software open-source in ortodonzia è descritta nel recente lavoro di Federici Canova et al. del 2021 (14). Il disegno di bande customizzate permette di definire con precisione quali elementi sfruttare come ancoraggio e quali superfici utilizzare, in funzione della permuta dell’elemento e della forza applicata, ad esempio in caso di utilizzo contestuale di trazioni extraorali per la correzione di malocclusioni di classe 3.
Nella fase di cementazione gli autori consigliano di utilizzare i classici cementi vetroionomerici duali (auto e fotopolimerizzabili) oppure i nuovi materiali bioattivi nella formulazione “cement”. Tuttavia, poiché la ritenzione del dispositivo è quasi esclusivamente data dal sistema adesivo e non dalla componente meccanica delle bande classiche, gli autori consigliano di mordenzare le superfici degli elementi decidui per 40-60 secondi con acido ortofosforico al 37% e applicare successivamente un sistema adesivo, allo scopo di aumentare l’efficacia della componente fotopolimerizzabile.
Un altro vantaggio che può derivare dal work flow digitale è la cura delle carie su elementi decidui contestuale alla cementazione del dispositivo: una vera perfetta integrazione tra le 2 discipline! Spesso, infatti, lo spazio interdentale tra E e D è la zona in cui più facilmente si riscontrano lesioni cariose e, qualora ne venissero riscontrate prima dell’applicazione del dispositivo, sarà possibile eseguire contemporaneamente le 2 procedure seguendo i passaggi codificati dagli autori:
- valutazione preoperatoria delle lesioni cariose, che devono essere minime, localizzate a livello dello spazio interdentale E-D e senza perdita significativa di sostanza dentale;
- disegno delle bande customizzate avendo l’accortezza di aumentare verso mesiale l’estensione della banda appoggiata sul secondo molare, in modo da creare un “pad” che vada a ricoprire la cresta mesiale dell’elemento E e la cresta distale dell’elemento D: in questo modo si verrà a creare una sorta di “intarsio ortodontico”;
- prima della cementazione del dispositivo, eliminare il tessuto cariato con una fresa a grana grossa su manipolo moltiplicatore prestando attenzione a non danneggiare la papilla interdentale;
- posizionare quindi una piccola quantità di teflon a protezione del tessuto gengivale oppure utilizzare un cuneo di legno;
- mordenzate con acido ortofosforico al 37% i 2 box che si sono venuti a creare, e contestualmente mordenzare anche le superfici di tutti gli elementi sopra i quali verrà applicato il dispositivo;
- applicare il sistema adesivo;
- riempire i 2 box con un cemento bioattivo utilizzando il puntale dedicato automiscelante, quindi stendere un velo sottile dello stesso cemento anche sulle bande, successivamente posizionare l’espansore in bocca e polimerizzare.
La sequenza operativa è illustrata nelle figure 6 e 7.


L’espansore è un quindi un dispositivo estremamente versatile, che permette in assenza di collaborazione di intercettare e risolvere molte problematiche in fase di crescita.
Come affermato in precedenza, l’utilizzo dell’ancoraggio deciduo permette di gestire attivamente il movimento dei molari definitivi in modo differenziato durante la fase di contenzione post-espansione e con il dispositivo ancora in situ, come mostrato nelle figure 8 A-B, dove la correzione della posizione del molare permanente rimasto in cross bite è stata completata con un mini-sezionale durante la fase di contenzione post-espansione. Ancora, è possibile correggere la mesiorotazione dei primi molari permanenti in modo estremamente semplice, applicando una forza singola dalla superficie palatale attraverso una semplice catenella elastica come illustrato in figura 9.


In caso di malocclusione di classe 2 suddivisione di tipo 2, quando il piano di trattamento prevede una correzione della asimmetria molare, la versatilità dell’espansore ad ancoraggio deciduo rende estremamente semplice una distalizzazione asimmetrica del molare, sfruttando tutto l’espansore come ancoraggio e applicando una forza sull’elemento da distalizzare. La correzione poi può essere mantenuta dall’apparecchio stesso in una prima fase, poi con del semplice composito nella fase di stabilizzazione. L’espansore non è l’unico dispositivo utilizzato in ortodonzia intercettiva. Per la correzione delle malocclusioni di classe 2 ad esempio gli elementi decidui, dopo essere stati conservati o recuperati, possono essere utilizzati come ancoraggio per attivatori fissi. Il classico disegno del twin block può essere adattato in una nuova configurazione fissa che può essere bondata sui decidui, con il vantaggio di eliminare la compliance del piccolo paziente e cancellare gli effetti indesiderati sugli elementi permanenti (15-19).

La realizzazione parte dalla presa dell’impronta, che può essere eseguita in modo tradizionale o digitale come illustrato in figura 11. In entrambi i casi può essere utile utilizzare un jig di cera anteriore per guidare più facilmente la mandibola del paziente. Una volta sviluppate le impronte, il tecnico disegnerà il dispositivo (chiamato dagli autori TBB – twin bonded block) partendo dalle indicazioni originali del lavoro di Clark e apportando alcune modifiche:
- l’altezza dei bite block è ridotta a circa 3-4 mm per aumentare il comfort del paziente
- l’inclinazione dei piani viene conseguentemente ridotta da 70° a circa 60° per non avere problemi durante le escursioni mandibolari.

Il dispositivo è così formato da 4 piccoli bite block in resina composita, il materiale generalmente utilizzato per i restauri posteriori: i 2 bite superiori hanno un’estensione che va dalla cresta distale del secondo molare deciduo alla cresta mesiale del primo molare deciduo, mentre nell’arcata inferiore si estendono dal canino deciduo a circa la metà del tavolato occlusale del primo molare da latte.
La procedura di incollaggio è semplice: i denti vengono mordenzati facendo attenzione ad aumentare il tempo di applicazione fino a 120 secondi, quindi si può applicare il bonding sulle superfici trattate, dopo il risciacquo e l’asciugatura.
Il dispositivo è estremamente versatile, oltre ad un costo di fabbricazione molto contenuto. Nel caso di un paziente ipodivergente, se è richiesta un’estrusione dei molari permanenti, la disclusione posteriore consente un’estrusione automatica dei molari superiori. È inoltre possibile controllare la dimensione verticale con ulteriori bite block sui primi molari in caso di pazienti iperdivergenti. Il TBB in resina composita permette anche una semplice gestione delle riattivazioni del dispositivo.

Conclusioni
Nella moderna odontoiatria, il professionista che voglia prendere in cura i piccoli pazienti deve necessariamente avere sia competenze di odontoiatria infantile (saper fare prevenzione, curare carie più o meno complesse, decidere quali elementi recuperare e quali estrarre), sia nozioni di ortodonzia infantile (per decidere se intervenire o meno su una malocclusione, se recuperare un elemento deciduo in funzione dell’ancoraggio del dispositivo che si sceglie di utilizzare, se dopo un’estrazione sia necessario o meno un mantenitore di spazio). Questi 2 mondi, per troppo tempo rimasti separati nella pratica clinica, oggi sono ancor più uniti dalle nuove tecnologie. Il digitale apre nuovi mondi, ridisegna i classici dispositivi ortodontici e ci trasporta nel domani. È la DOP dentistry!