Acufene e disordine temporomandibolare: approccio terapeutico sinergico fra gnatologia e logopedia

Tinnitus and temporomandibular disorder: a synergistic therapeutic approach from gnathology to speech therapy

Fig. 2 Focus sulle strutture dell’ATM.
Fig. 2 Focus sulle strutture dell’ATM.
Scopo del lavoro:

Questo articolo ha lo scopo di presentare la nostra esperienza clinica nell’utilizzare un innovativo approccio multidisciplinare nel trattamento di pazienti con acufeni che presentano disturbi temporomandibolari (DTM) che mira a ridurre o eliminare la presenza di questo sintomo che ha un impatto significativo sulla qualità di vita del paziente.

Materiali e metodi:

Sono stati presi in considerazione 24 pazienti seguiti all’interno dei nostri centri odontoiatrici, i quali sono stati valutati attraverso la cartella di valutazione multidisciplinare personalizzata, e quindi trattati combinando la terapia gnatologica e logopedica che presentiamo in questo studio.

Conclusioni:

Come riportato dai risultati esposti nell’articolo, una valutazione accurata del paziente risulta essenziale per identificare una causa di tipo gnatologico dell’acufene e programmare il corretto iter riabilitativo. La valutazione include lo studio degli aspetti anatomo-funzionali dell’occlusione, dell’articolazione temporomandibolare (ATM) e delle funzioni orali. L’approccio terapeutico sinergico tra gnatologia e logopedia si è rivelato efficace per ridurre significativamente o eliminare l’acufene e in parallelo il resto della sintomatologia associata al DTM, con conseguente miglioramento della qualità di vita del paziente.

INTRODUZIONE

Gli acufeni in medicina vengono definiti come delle sensazioni uditive percepite dall’individuo, in assenza di una stimolazione sonora esterna (1), e dunque causate da un’attività propria dell’apparato acustico o dai meccanismi di elaborazione sensoriale. Questa sensazione viene definita in varie maniere. Descritta generalmente come un fischio nelle orecchie, il suono può anche essere percepito all’interno o all’esterno della testa, in un orecchio o in entrambi. Le descrizioni qualitative di questo fenomeno includono fischio, ronzio, rumore sordo, frizzante, ruggente, pulsante, penetrante, sibilo, fruscio, tinnito (2).

L’acufene è clinicamente eterogeneo, questo perché le caratteristiche del suono, la fisiopatologia sottostante e i fattori che influenzano tale condizione possono variare da caso a caso. La percezione dell’acufene può essere localizzata unilateralmente o bilateralmente nell’orecchio o nella testa. Il ronzio nel cervello spesso è chiamato tinnitus cerebri, ed è incluso negli acufeni.

L’acufene può essere costante o intermittente, può insorgere all’improvviso o svilupparsi lentamente e in modo progressivo. In molti casi non si presenta solo una singola tipologia di suono, ma più tipologie di suoni vengono avvertiti dal paziente. Il suono percepito talvolta può essere pulsatile, sincronizzandosi al battito cardiaco o alle pulsazioni periferiche (3).

L’acufene può essere classificato come soggettivo o oggettivo. Viene definito come acufene soggettivo (il più frequente, circa 96% dei casi) se è in rapporto con una alterazione ad un qualsiasi livello del sistema uditivo ed è percepito solamente dal soggetto. Possono esserci cause dal punto di vista eziopatogenetico: cause otologiche (ipoacusia da trauma, presbiacusia, otite media acuta), neurologiche (sclerosi multipla, neurinoma dell’acustico), infettive (otite esterna acuta, cronica o micotica, meningite), farmacologiche (danno cocleare da salicilati, antinfiammatori non steroidei),  traumatiche (perforazione del timpano, trauma del condotto uditivo esterno), internistiche (anemia, ipertiroidismo, ipertensione arteriosa), psicologiche (allucinazione uditive), o si ricollegano a cause di tipo gnatologico o funzionali, legate quindi alla disfunzione dell’ articolazione temporomandibolare (ATM) o ad altre patologie dell’occlusione (4).

Sono definiti invece acufeni oggettivi quelli che hanno un’origine esterna all’orecchio e sono percepibili anche dall’esaminatore. Questi possono avere cause vascolari (stenosi o aneurismi della carotide, malformazioni artero-venose, valvulopatie, anomalie vascolari), muscolari (mioclono palatale, spasmo dei muscoli stapedio o del tensore del timpano, tuba beante), o spontanei (otoemissioni acustiche spontanee) e rappresentano il 4% dei casi (5).

L’acufene viene definito acuto se è presente da meno di 3 mesi, subacuto nella finestra fra i 3- 6 mesi o cronico se presente da più di 12 mesi. Inoltre, può cambiare caratteristiche nel tempo (6).

Può essere classificato come primario o secondario. L’acufene primario è idiopatico e può o meno essere associato a ipoacusia neurosensoriale, solitamente simmetrica. L’acufene secondario invece è associato a specifiche cause sottostanti come danni neurologici, infezioni o corpi estranei nell’orecchio, stress emotivo, allergie nasali che impediscono il drenaggio dei fluidi, l’esposizione a suoni di elevato volume, disturbi temporomandibolari (DTM) (7).

La prevalenza stimata negli USA è approssimativamente di 1 adulto su 10. I tassi più alti vengono riportati nei pazienti soggetti all’esposizione a forti rumori per cause ricreative o lavorative (8).

Ricerche hanno mostrato che gli aspetti emozionali dell’acufene e l’angoscia sperimentata da questi pazienti sono strettamente correlati e sono associati allo stesso centro responsabile del disagio emotivo e del controllo attentivo nel cervello (9).

Nonostante la maggior parte dei pazienti non risultino seriamente disturbati dall’acufene, un numero significativo di essi sviluppa depressione e ansia (10). Questi riportano oltre l’acufene conseguenze come frustrazione, fastidio, ansia e insicurezza, depressione, irritazione e difficoltà nella concentrazione (11). Spesso inoltre manifestano difficoltà nell’addormentarsi, insonnia con conseguente sonnolenza diurna (presenti nel 66% dei pazienti con acufene secondo i dati forniti dall’ “Oregon Tinnitus Data Archive” (12)), difficoltà nel sentire l’interlocutore in situazioni di conversazione, incapacità di rilassarsi, cefalea (13).

Approcci terapeutici

Nel 2013 Langguth et al. hanno definito un algoritmo per la diagnosi e il trattamento degli acufeni cronici (14) (figura 1).

Nonostante ciò, risulta sempre estremamente complesso definire l’origine di un acufene e quale sia la metodologia più corretta ed efficace da utilizzare come trattamento.

Fig. 1 Algoritmo per la diagnosi ed il trattamento degli acufeni cronici.
Fig. 1 Algoritmo per la diagnosi ed il trattamento degli acufeni cronici.

Per motivi terapeutici è fondamentale dedicare al paziente un momento di counseling. Questo ha l’obiettivo di facilitare l’abitudine nel percepire l’acufene e di far fronte nel miglior modo possibile alle conseguenze citate in precedenza. L’acufene infatti può creare interferenze importanti nella vita personale, occupazionale e sociale dell’individuo. Dando informazioni il counseling aiuta a individuare e capire il proprio acufene, demistificare la condizione e correggere falsi miti. Infine, ci permette di assicurare una maggior aderenza alle strategie di trattamento dando le necessarie informazioni sugli obiettivi realistici dei diversi trattamenti (15).

Le terapie che solitamente sono proposte al paziente che soffre di acufeni sono diverse, ma nonostante la grande necessità clinica, i tentativi di trattare l’acufene con vari mezzi sono spesso fallimentari. Gli studi di metanalisi riportano dati incerti e insufficienti a definire programmi ben definiti ed efficaci per il trattamento di tali problematiche (16). In breve, esponiamo gli svariati approcci terapeutici riportati in letteratura.

Terapia cognitivo comportamentale

È una forma di psicoterapia che ha l’obiettivo di ridurre il disagio correlato all’acufene, alterando il disadattamento delle risposte cognitive, emozionali e di risposte comportamentali all’acufene attraverso la ristrutturazione cognitiva e la modificazione comportamentale. Questa tipicamente include differenti moduli pratici. Fra le tecniche per modificare il comportamento maladattivo abbiamo la psicoeducazione, esercizi di rilassamento, training basato sulla mindfulness, tecniche di controllo dell’attenzione, esercizi di immaginazione e esposizioni a situazioni difficili. Gli studi di metanalisi hanno rivelato una chiara prova del miglioramento della qualità di vita e riduzione dei punteggi in screening su depressione dopo la terapia cognitivo comportamentale comparandoli all’assenza di trattamento o ad altri interventi, nonostante non intervenga sul diminuire il volume dell’acufene (17,18).

Tinnitus Retraining Therapy (TRT)

È una specifica combinazione di counseling e terapia del suono (19). L’obiettivo della TRT è quella di raggiungere uno stato di assuefazione usando tecniche di insegnamento e counseling per la riclassificazione dell’acufene inserendoli in una categoria di segnali neutri e usando la terapia del suono per ridurre l’intensità dell’acufene. Ci sono alcuni studi che suggeriscono che abbia effetti positivi, ma una recente metanalisi ha affermato che a causa della mancanza di studi clinici randomizzati di alta qualità non possiamo essere sicuri della concreta efficacia del TRT (20).

Uso di apparecchi acustici

L’utilizzo di questi per compensare la mancanza di input uditivo nel range di frequenza sembra essere un trattamento ovvio, infatti, la perdita di udito è il fattore scatenante più importante per l’acufene. Nonostante ciò, anche in questo caso le evidenze sull’efficacia degli apparecchi acustici sull’acufene in studi controllati risultano essere insufficienti (21,22).

Utilizzo impianto cocleare

Nei pazienti con ipoacusia neurosensoriale profonda bilaterale e acufene è stata segnalata una soppressione significativa di acufene dopo che l’udito è stato restaurato mediante impianto cocleare (23). Recentemente anche gli impianti cocleari si sono dimostrati utili in pazienti con acufene con sordità profonda unilaterale con concomitante acufene invalidante ipsilaterale (24).

Terapia del suono

Può venir applicata come suono di sottofondo aspecifico o come suono specifico ed individualizzato nella terapia. Anche se la stimolazione sonora è ampiamente diffusa, le evidenze sulla sua efficacia basate su studi di controllo sono ancora insufficienti (25).

Farmaci

Molti agenti farmacologici sia allopatici che integratori sono stati studiati per il trattamento dell’acufene, tuttavia, nessuno ha fornito una riduzione replicabile a lungo termine nell’impatto dell’acufene rispetto agli effetti placebo (26-29).

Terapia di stimolazione cerebrale

Consente la modulazione focale dell’attività neuronale ed è stato studiato per la normalizzazione dell’acufene correlato ad anomalie dell’attività neuronale. La stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS) usa l’applicazione ritmica di brevi impulsi magnetici erogati da una bobina posta sul cuoio capelluto per modulare l’attività corticale. Gli effetti sono limitati, la variabilità individuale elevata e la durata degli effetti del trattamento rimangono spesso limitati (30,31).

Ossigenoterapia iperbarica

Questo tipo di terapia è stata utilizzata in pazienti con ipoacusia neurosensoriale improvvisa idiopatica pensando che, migliorando l’apporto di ossigeno all’orecchio interno migliorasse l’udito, con diminuzione dell’acufene. È stato visto che nei pazienti con ipoacusia neurosensoriale improvvisa idiopatica acuta l’applicazione dell’ossigenoterapia iperbarica ha migliorato significativamente l’udito, ma il significato clinico rimane poco chiaro. Non è stato possibile valutare l’effetto di questa terapia sull’acufene mediante un’analisi aggregata (32).

Agopuntura

Da molto tempo viene usata per trattare l’acufene, soprattutto in paesi come Cina e Corea. Il suo utilizzo è principalmente sulla base di dati aneddotici. La convinzione che l’agopuntura sia un trattamento particolarmente efficace per l’acufene cronico, infatti, non si basa sull’evidenza di rigorosi studi randomizzati (33).

Con poche prove per terapie di successo da studi clinici randomizzati il trattamento dell’acufene cronico rimane difficile, anche se non c’è alcuna giustificazione per il nichilismo terapeutico. L’applicazione sistematica dei trattamenti attualmente disponibili è decisamente meglio che lasciare i pazienti con acufene senza alcuna terapia. Per questo, il miglioramento nella comprensione dei meccanismi fisiopatologici alla base delle diverse forme di acufene e lo sviluppo di nuovi trattamenti sono indispensabili per tante persone che soffrono di acufene in tutto il mondo (34).

Il nostro approccio terapeutico

In letteratura il disturbo temporomandibolare (DTM) viene riportato tra i possibili fattori di rischio per l’acufene (35,36). Per disturbi temporomandibolari intendiamo un gruppo di alterazioni muscolo-scheletriche che interessano muscoli masticatori, articolazione temporomandibolare (ATM) e le strutture correlate, con dolore come sintomo prevalente (37).

Come è possibile osservare dalla figura 2, lo spostamento verso l’alto e indietro del condilo articolare determina un ancoraggio patologico alle strutture dell’orecchio, medio e interno. Questo, oltre a causare per compressione una sintomatologia algica, comporta un’alterazione funzionale nella zona con facile interessamento delle strutture nervose dell’orecchio (38), che inviano segnali scorretti ai centri sensitivi. Se questi vengono recepiti come “rumore”, causano come sintomo collaterale l’acufene. Da qui risulta chiaro che, se l’acufene è associato a disfunzione nella regione temporomandibolare, queste situazioni patologiche vanno esaminate nel dettaglio dallo gnatologo e dal logopedista esperto in motricità orofacciale (39).

Fig. 2 Focus sulle strutture dell’ATM.
Fig. 2 Focus sulle strutture dell’ATM.

Ad oggi la terapia gnatologica per la cura dei disordini temporomandibolari (DTM) verte sullo studio prima e soluzione poi delle problematiche occlusali, eliminando i fattori traumatici diretti che portano ad un danno a carico dell’articolazione temporomandibolare (ATM). In tutti gli altri casi sono i deficit di forma e funzione delle strutture intra e periorali variamente correlati a determinare le scelte terapeutiche (40).  Quindi è imprescindibile che lo studio e il trattamento dei contatti scorretti fra i denti e delle alterazioni delle funzioni muscolari conseguenti siano alla base di ogni terapia di riequilibrio delle funzioni fisiologiche di masticazione, respirazione e deglutizione. In particolare, la deglutizione disfunzionale si ripercuote sul complesso cranio-cervico-mandibolare in quanto ogni atto deglutitorio deviato, che avviene per circa 1500 volte al giorno, determina un costante squilibrio e instabilità del sistema stomatognatico con conseguente sovraccarico dell’ATM (35).

I problemi occlusali nascono da alterazioni nel contatto dei denti fra le due arcate contrapposte, la superiore mascellare e l’inferiore mandibolare, e per deficit che avvengono nei tre piani dello spazio, anteroposteriore, trasversale, verticale. Le alterazioni di contatto fra i denti causano variazioni significative nei vettori di forza muscolari, che non seguono più quelli fisiologici, per cui il sistema va facilmente in sofferenza, con ipo o iperfunzionalità muscolare, accumulo di cataboliti acidi e che, a causa delle compressioni delle strutture venose e linfatiche ne impediscono il deflusso, tendono a cronicizzare in sindromi algiche (41). Il trattamento dei DTM in questo periodo storico risulta sempre più di fondamentale importanza, in quanto se precedentemente la prevalenza di questi casi nella popolazione adulta risultava intorno al 7-15%, con una prevalenza maggiore delle donne in età fertile (42), ad oggi, a fronte della pandemia da Covid-19 è stato osservato un incremento della frequenza di tali problematiche strettamente correlate allo stress (43,44).

MATERIALI E METODI

Il nostro approccio ha inizio, dopo aver escluso con l’otorinolaringoiatra una patologia di sua competenza, con la valutazione multidisciplinare specifica del caso che porta alla compilazione di una cartella clinica condivisa (figura 3) da parte dell’odontoiatra e della logopedista; prosegue con la presentazione del caso e del piano di trattamento al paziente.

Il percorso diagnostico prevede la raccolta accurata dell’anamnesi, l’esame obiettivo del cavo orale, la rilevazione e analisi delle impronte delle arcate dentali, le indagini radiologiche, l’analisi posturale e la valutazione logopedica. In particolare, il logopedista osserva l’aspetto, la postura e la mobilità delle strutture orofacciali e analizza le funzioni orali di deglutizione, masticazione, fonazione e respirazione. Inoltre, vengono eseguiti gli esami strumentali specifici: ssEMG (Elettromiografia di superficie standardizzata) (figura 4), dinamometro (figura 5) e valutazione della deglutizione con il test alla fluorescina (figura 6).

Fig. 3A Esempio di cartella clinica.
Fig. 3A Esempio di cartella clinica.
Fig. 3B Esempio di cartella clinica.
Fig. 3B Esempio di cartella clinica.
Fig. 3C Esempio di cartella clinica.
Fig. 3C Esempio di cartella clinica.
Fig. 3D Esempio di cartella clinica.
Fig. 3D Esempio di cartella clinica.

Alla valutazione segue la pianificazione del trattamento. Questo si compone di un intervento combinato gnatologico e logopedico.

Dal punto di vista gnatologico, attraverso l’utilizzo di specifici dispositivi interocclusali che il paziente dovrà utilizzare, alcuni durante il giorno e altri per la notte, e l’intervento logopedico, grazie alle sedute di diatermia sui tessuti dell’apparato stomatognatico e ad esercizi specifici di terapia miofunzionale che il paziente dovrà eseguire a casa per tutta la durata della terapia.

I dispositivi interocclusali e l’uso della diatermia risultano fondamentali per intervenire sui pazienti con DTM associato ad acufene, in quanto agiscono al contempo a livello occlusale, evitando i contatti scorretti fra i denti per tutte le ore della giornata e della notte con specifici dispositivi interocclusali e, allo stesso modo, tramite la diatermia e la terapia miofunzionale, lavorano a livello tissutale e funzionale in modo da ristabilire un corretto funzionamento del sistema stomatognatico.

Fig. 4 Esempio di ssEMG.
Fig. 4 Esempio di ssEMG.
Fig. 5 Dinamometro.
Fig. 5 Dinamometro.
Fig. 6 Test fluorescina.
Fig. 6 Test fluorescina.

Per la terapia svolta durante il giorno abbiamo creato i “rialzi mobili transitori” (45) (figura 7), docce in resina che coprono esclusivamente i denti posteriori, bilateralmente, di altezza variabile a seconda del tipo di malocclusione e/o verticalità del paziente. Questi dispositivi correggono i rapporti occlusali in senso terapeutico per tutto il tempo in cui sono portati, senza interferire con le normali attività diurne del paziente, come accade invece con i classici bite, che infatti vengono portati solo la notte impedendo in tal modo un risultato ottimale.

Fig. 7 Rialzi mobili transitori.
Fig. 7 Rialzi mobili transitori.
Fig. 8 Attivatore polifunzionale.
Fig. 8 Attivatore polifunzionale.

La pressoché nulla interferenza con la vita sociale dei rialzi mobili transitori permette ai pazienti di avere una maggior aderenza alla terapia, con conseguente risoluzione del DTM e la minimizzazione o la scomparsa dei sintomi ad esso associati spesso presenti da anni e spesso già trattati in precedenza con vecchie metodiche in maniera inefficace. Questa assenza di interferenze viene mantenuta durante la notte grazie all’uso dell’attivatore polifunzionale (APF) (figura 8), che determina un riposizionamento mandibolare e di conseguenza anche uno spostamento del condilo rispetto all’orecchio in basso e in avanti (figura 9), allontanandolo dalle strutture bersaglio (35). Inoltre, questo dispositivo facilita la corretta postura linguale e il ripristino della respirazione nasale.

Fig. 9 Posizione patologica del condilo mandibolare.
Fig. 9 Posizione patologica del condilo mandibolare.

All’uso dei dispositivi interocclusali si associa la terapia miofunzionale e l’uso della diatermia (figura 10), svolta dal logopedista.

Questa è una tecnologia distrettuale non invasiva. La diatermia capacitiva e resistiva è utilizzata nella pratica quotidiana odontoiatrica, e nello specifico nella terapia dei disturbi a carico dell’ATM, dove otteniamo quotidianamente importanti risultati anche rispetto all’acufene (46).

L’utilizzo della diatermia, attraverso un aumento di temperatura del derma con potenza e frequenza appropriate, favorisce l’incremento del microcircolo e della vasodilatazione sulla zona interessata. Viene utilizzata con due modalità: capacitiva e resistiva.

Fig. 10 Diatermia.
Fig. 10 Diatermia.

La diatermia capacitiva (onda elettromagnetica con frequenze che vanno da 30Khz a 300Ghz) esercita la sua azione su tessuti e strutture idratate (a bassa densità connettivale), quindi muscoli, vasi sanguigni e linfatici. Ci permette di lavorare in profondità, producendo un significativo aumento della temperatura sulle strutture ipofunzionanti o lese.

La diatermia resistiva (onda elettrica che passa tra i due elettrodi metallici) produce un aumento della temperatura dovuto all’effetto Joule; il passaggio di corrente elettrica tra i due elettrodi metallici determina un riscaldamento dei tessuti compresi tra di essi, che è maggiore nei tessuti con una resistenza elettrica più elevata, e quindi ad alta densità connettivale come osso, legamenti, tendini, aponeurosi, capsule articolari, cartilagini articolari, cordoni fibrotici, cheloidi e cicatrici.

Il principio su cui si basa questa tecnologia è quello di trattare l’organismo nei suoi meccanismi autoregolatori, stimolarne la fisiologica attività tissutale dall’interno, sostenendolo nelle sue funzioni di recupero ed attivando i naturali processi antinfiammatori e riparativi.

Determinando un incremento della temperatura opportunamente modulato, si produce un’accelerazione dei naturali processi biologici dell’organismo nella zona interessata, agendo sull’infiammazione, sull’edema e sul dolore, migliorando il trasporto dell’ossigeno dal circolo arterioso periferico ai tessuti, facilitando l’incremento delle riserve di ossigeno nel muscolo o nei tessuti interessati e accelerando l’attività dei mediatori chimici tissutali (figura 11).

Fig. 11 Focus diatermia.
Fig. 11 Focus diatermia.

Inoltre, questi programmi possono lavorare secondo due modalità differenti: modalità monopolare o bipolare.

In modalità monopolare con l’uso di un elettrodo «lavorante» e di una placca «di ritorno» che chiude il circuito ma che, trattandosi di un campo elettromagnetico variabile, esplica anch’essa una funzione lavorante. La placca di ritorno va posizionata quanto più in opposizione rispetto all’elettrodo lavorante e quanto più vicino possibile ad esso. Nella modalità bipolare l’elettrodo lavorante e la placca di ritorno sono condensati sullo stesso manipolo; si lavora quindi con un solo elettrodo, il che rende più facile il trattamento.

L’uso combinato di queste procedure occlusali e muscolari porta al rilassamento muscolare con spostamento verso il basso e in avanti del condilo mandibolare dell’ATM, con l’obiettivo di biostimolare il processo di guarigione affinché avvenga velocemente.

Il paziente riscontra una riduzione del discomfort, un miglioramento della limitazione funzionale e un rallentamento della progressione della patologia con conseguente ripristino delle funzioni e dell’omeostasi della zona.

Questi cambiamenti vengono favoriti grazie alla terapia miofunzionale, che si pone l’obiettivo di recuperare l’adattamento funzionale del sistema stomatognatico. Questo aspetto risulta fondamentale, in quanto le disfunzioni temporomandibolari e le alterazioni delle funzioni orali sono spesso correlate e si influenzano a vicenda. Per questa ragione durante la valutazione risulta molto importante acquisire informazioni su masticazione, deglutizione, respirazione ed articolazione del linguaggio. Il logopedista interviene nel processo terapeutico, in primo luogo rendendo il paziente conscio delle abitudini disfunzionali che possono incrementare il disturbo all’ATM e la tensione muscolare che possono essere alla base dell’acufene, al fine di fargli acquisire una sempre maggior consapevolezza e controllo del distretto (47). Inoltre, si interviene attraverso l’utilizzo di esercizi di riabilitazione volti a rinforzare la muscolatura, ristabilire la corretta postura linguale a riposo e in deglutizione, ma anche esercizi volti a eliminare il click articolare, esercizi per il blocco articolare (48) e tecniche di rilassamento della muscolatura orofacciale tramite termoterapia e massaggi (49).

RISULTATI

All’interno dei nostri centri odontoiatrici dal 2020 ad oggi sono stati presi in carico 98 pazienti con DTM, dei quali 24 (24%) presentavano l’acufene fra i sintomi riportati alla valutazione iniziale. Dei 24 pazienti che costituiscono il campione dello studio in oggetto, si rileva una prevalenza di soggetti di sesso femminile (20) ed un’età media di 43 anni.

L’acufene descritto in prima valutazione presentava le seguenti caratteristiche (figura 12).

Fig. 12A Caratteristiche acufene nei pazienti presi in esame.
Fig. 12A Caratteristiche acufene nei pazienti presi in esame.
Fig. 12B Caratteristiche acufene nei pazienti presi in esame.
Fig. 12B Caratteristiche acufene nei pazienti presi in esame.
Fig. 12C Caratteristiche acufene nei pazienti presi in esame.
Fig. 12C Caratteristiche acufene nei pazienti presi in esame.
  • Il 67% dei pazienti presentava acufene intermittente, nella maggior parte dei casi percepito come un fischio (50%) o un ronzio (17%) e in minima parte descritto come uno scroscio, fruscio o pulsatile. Inoltre, è presente una maggior frequenza di acufene bilaterale (63%).
  • Alla prima valutazione abbiamo riscontrato una frequenza non inferiore ad almeno il 50% di altri sintomi correlati al DTM, con le seguenti caratteristiche (figura 13): come si può evincere dal grafico, i pazienti presi in esame non presentavano solo acufene, ma nel 92% dei casi cefalea, serramento, tensione del distretto testa-collo e dei muscoli masticatori. A seguire, nell’88% dei pazienti è presente SMOF (squilibrio miofunzionale orofacciale) e disturbi del sonno, il 71% presentava click articolare e nel 50% dei casi i pazienti presentavano anche altri sintomi di natura otologica (vertigini, capogiri, otalgia).
Fig. 13 Sintomi correlati al DTM presenti nel campione.
Fig. 13 Sintomi correlati al DTM presenti nel campione.

Essendo emersa quindi in sede di valutazione uno SMOF e presenza di DTM questi pazienti sono stati indirizzati verso la terapia gnatologica tramite l’utilizzo dei dispositivi interocclusali, della diatermia e terapia miofunzionale per un periodo variabile da 3 a 14 mesi.

Alla fine del trattamento questi sono stati i risultati riguardanti la percezione dell’acufene (figura 14):

Fig. 14 Risultati acufene post trattamento.
Fig. 14 Risultati acufene post trattamento.
  • possiamo osservare come in più della metà dei pazienti tale sintomo sia stato totalmente eliminato. Nel 38% dei casi del campione l’acufene è diminuito e solo nel 4% dei casi è rimasto invariato;
  • inoltre, è stato registrato anche il miglioramento del resto della sintomatologia correlata presente in prima visita, con i seguenti risultati (figura 15).
Fig. 15 Risultati sintomatologia accessoria post trattamento.
Fig. 15 Risultati sintomatologia accessoria post trattamento.

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

In questo lavoro è stata proposta la metodica utilizzata nei nostri centri odontoiatrici per il trattamento dei pazienti con DTM e acufeni associati.

Partire da un’indagine multiprofessionale completa risulta indispensabile per poter capire se l’acufene possa essere collegato a un DTM, permettendo così di fare diagnosi e programmare il corretto iter riabilitativo.

Dai dati raccolti è possibile osservare un’alta percentuale di acufene in pazienti con DTM, seppur sia verosimile che possa esserci un’incidenza ancora maggiore in quanto spesso pazienti che presentano sintomi di tipo otologico tra i sintomi principali di DTM non giungono alla nostra osservazione in quanto non sanno di potersi rivolgere a specialisti in ambito odontoiatrico.

L’approccio terapeutico proposto in questo articolo mira a ridurre o eliminare i sintomi caratteristici del DTM, tra i quali anche l’acufene, agendo sulla causa scatenante il disturbo. Nello specifico è importante ristabilire un corretto posizionamento mandibolare, rilassare le tensioni muscolari presenti e ritrovare un equilibrio stabile armonizzando le funzioni orali alle forme esistenti. Gli stessi pazienti durante il trattamento hanno riportato un miglioramento del disturbo a carico dell’ATM di pari passo alla riduzione dell’acufene fino alla completa risoluzione avvenuta in più della metà dei pazienti presi in esame.

Resta un punto chiave della presa in carico il fatto di informare il paziente sul suo stato clinico globale per aiutarlo a comprendere la multifattorialità del suo problema e per creare, sin dall’inizio della presa in carico, una rete di fiducia e collaborazione nei confronti dei membri del team, prerogativa indispensabile per il successo della terapia e per il raggiungimento del fine comune: il benessere della persona.

Bibliografia:
  1. Maurizi M (2007) Clinica otorinolaringoiatrica- Basi anatomo-funzionali, patologiche e cliniche delle grandi sindromi e delle malattie. III Edizione. Piccin
  2. Bauer CA (2018) Tinnitus. N Engl J Med 29;378(13):1224-1231
  3. Tang D, Li H, Chen L (2019) Advances in Understanding, Diagnosis, and Treatment of Tinnitus. Adv Exp Med Biol 1130:109-128
  4. Barros Coelho C, Santos R, Ferraz Campara K, Tyler R (2020), Classification of Tinnitus, Multiple Causes with the Same Name. Otolaryngol Clin North Am 2020 Aug;53(4):515-529
  5. Chari DA, Limb CJ (2018), Tinnitus.Clin North Am 2018 Nov;102(6):1081-1093
  6. Barros Coelho C, Santos R, Ferraz Campara K, Tyler R (2020) Classification of Tinnitus: Multiple Causes with the Same Name. Otolaryngol Clin North Am 53(4):515-529
  7. Esmaili AA, Renton J (2018) A review of tinnitus. Aust J Gen Pract 47(4):205-208
  8. Bhatt JM, Lin HW, Bhattacharyya N (2016) Prevalence, severity, exposures, and treatment patterns of tinnitus in the United States. JAMA Otolaryngol Head Neck Surg 142(10):959–965
  9. Vanneste S, Plazier M, Der Loo E, et al. (2010) The neural correlates of tinnitus related distress. Neuroimage 52:470-80
  10. Crocetti A, Forti S, Ambrosetti U, et al. (2009) Questionnaires to evaluate anxiety and depressive levels in tinnitus patients. Otolaryngol Head Neck Surg 140:403-5
  11. Hallam RS, McKenna L, Shurlock L. (2004) Tinnitus impairs cognitive efficiency. Int J Audiol 43:218-26
  12. Meikle MB, Creedon TA, Griest SE (2004) Tinnitus archive, 2nd edn. Available at: http://www.tinnitusarchive.org/
  13. Tyler R, Baker L (1983) Difficulties experienced by tinnitus sufferers. J Speech Hear Disord 48:150-4
  14. Langguth B, Kreuzer PM, Kleinjung T, De Ridder D. (2013) Tinnitus: causes and clinical management. Lancet Neurol 12:920–930.
  15. Davis PB, Paki B, Hanley PJ. (2007) Neuromonics Tinnitus Treatment: third clinical trial. EarHear28: 242–59.
  16. Langguth B, Eloyhen AB, Cederroth CR (2019) Therapeutic Approaches to the Treatment of Tinnitus. Annu Rev Pharmacol Toxicol 6;59:291-313
  17. Martinez-Devesa P, Perera R, Theodoulou M, Waddell A (2010) Cognitive behavioural therapy for tinnitus. Cochrane Database Syst Rev (9):CD005233.
  18. Hesser H, Weise C, Westin VZ, Andersson G. (2011) A systematic review and meta-analysis of randomized controlled trials of cognitive-behavioral therapy for tinnitus distress. Clin. Psychol. Rev. 31:545–53
  19. Jastreboff PJ (2007) Tinnitus retraining therapy. Prog Brain Res 2007; 166:415–423.
  20. Phillips JS, McFerran D (2010) Tinnitus Retraining Therapy (TRT) for tinnitus. Cochrane Database Syst Rev. (3):CD007330
  21. Hoare DJ, Kowalkowski VL, Kang S, Hall DA. (2011) Systematic review and meta analyses of randomized controlled trials examining tinnitus management. Laryngoscope 121:1555–1564
  22. Hoare DJ, Edmondson-Jones M, Sereda M, Akeroyd MA, Hall D (2014) Amplification with hearing aids for patients with tinnitus and co-existing hearing loss. Cochrane Database Syst. Rev. 1:CD010151
  23. Baguley DM, Atlas MD (2007) Cochlear implants and tinnitus. Prog Brain Res 166:347–355
  24. Van de Heyning P, Vermeire K, Diebl M, et al.(2008) Incapacitating unilateral tinnitus in single-sided deafness treated by coclea implantation. Ann Otol Rhinol Laryngol 117:645–652
  25. Hobson J,Chisholm E, El Refaie A (2012) Sound therapy (masking) in the management of tinnitus in adults. Cochrane Database Syst Rev 11:CD006371
  26. Langguth B, Elgoyhen AB (2012) Current pharmacological treatments for tinnitus. Expert Opin Pharmacother 13:2495–2509.
  27. Baldo P, Doree C, Molin P, McFerran D, Cecco S. (2012) Antidepressants for patients with tinnitus. Cochrane Database Syst. Rev. 9:CD003853;
  28. Hilton MP, Zimmermann EF, Hunt WT. (2013) Ginkgo biloba for tinnitus. Cochrane Database Syst. Rev.3:CD003852;
  29. Hoekstra CE, Rynja SP, van Zanten GA, Rovers MM. (2011) Anticonvulsants for tinnitus. Cochrane Database Syst. Rev. 7:CD007960
  30. Meng Z, Liu S, Zheng Y, Phillips JS. (2011) Repetitive transcranial magnetic stimulation for tinnitus. Cochrane Database Syst Rev 10:CD007946.)
  31. Peng Z, Chen XQ, Gong SS (2012) Effectiveness of ripetitive transcranial magnetic stimulation for chronic tinnitus: a systematic review. Otolaryngol Head Neck Surg 147:817–825.
  32. Bennett MH, Kertesz T, Perleth M, Yeung P, Lehm JP. (2012) Hyperbaricoxygen for idiopathic sudden sensorineural hearing loss and tinnitus. Cochrane Database Syst. Rev. 10:CD004739
  33. Park J, White AR, Ernst E. (2000). Efficacy of acupunctureas a treatment for tinnitus: a systematic review. Arch. Otolaryngol. Head Neck Surg. 126:489–92
  34. Langguth B (2015) Treatment of tinnitus.Curr Opin Otolaryngol Head Neck Surg23(5):361-8
  35. Bernkopf E, De Vincentiis G, Bernkopf G (2016) Rapporti fra acufeni e disfunzioni dell’articolazione Temporo Mandibolare. Il dentista moderno
  36. Bernhardt O, Mundt T, Welk A, Köppl N, Kocher T, Meyer G, Schwahn C. Signs and symptoms of temporomandibular disorders and the incidence of tinnitus. J Oral Rehabil 2011 Dec; 38; 891- 901 Epub 2011
  37. Marim G. C., Zanandréa Machado B. C. Z., Trawitzki L. V. V., De Felício C. M.- Tongue strength, masticatory and swallowing dysfunction in patients with chronic temporomandibular disorder. Physiol Behav.2019
  38. De Felício CM, Melchior MO, Ferreira CLP,Rodrigues Da Silva MAM (2008) Otologic Symptoms of Temporomandibular Disorder and Effect of Orofacial Myofunctional Therapy. Cranio
  39. Langguth B, Kreuzer PM, Kleinjung T, De Ridder D (2013) Tinnitus: causes and clinical management. Lancet Neurol 12(9):920-930
  40. De Felício CM, De Oliveira MM., Rodrigues da Silva MAM (2010) Effects of Orofacial Myofunctional Therapy on Temporomandibular Disorders. Cranio.
  41. Ferreira CLP, Rodrigues Da Silva MAM, De Felício CM (2009) Orofacial Myofunctional Disorder In Subjects with Temporomandibular Disorder. Cranio.
  42. De Felício C. M., Ferreira C. L. P., Medeiros A. P. M., Rodrigues Da Silva M. A., Tartaglia G. M., Sforza C.- Electromyographic indices, orofacial myofunctional status and temporomandibular disorders severity: A correlation study. J Electromyogr Kinesiol. 2012.
  43. Prevalence of symptoms of temporomandibular disorders, oral behaviors, anxiety, and depression in Dentistry students during the period of social isolation due to COVID-19
  44. Asquini G, Bianchi AE, Borromeo G, Locatelli M, Falla D (2021) The impact of Covid-19- related distress on general health, oral behaviour, psychosocial features, disability and pain intensity in a cohort of Italian patients with temporomandibular disorders. PLoS ONE 16(2): e0245999.
  45. Massaiu G, Massaiu A, Cerrone T (2022) Proposta di un approccio innovativo di ricerca multidisciplinare nello sviluppo di una terapia personalizzata per i disordini temporo-mandibolari. DoctorOs Feb2022.
  46. Pihut M, Górnicki M, Orczykowska M, Zarzecka E, Ryniewicz W, Gala A (2020) The application of Radiofrequency Waves in Supportive Treatment of Temporomandibular Disorders. Pain Res Manag.
  47. Andretta P, Autelitano L, Beghetto AR, Begnoni G, Caprioglio A, Chiari F, Cozza P, Dellavia C, Gassino G, Lanteri C, Lanteri V, Loberto S, Manfredi E, Mariani F, Montano L, Schindler O, Segù M, Spadola Bisetti M, Vernero I (A cura di Levrini L) (2020) Terapia Miofunzionale Orofacciale. Milano: Edizioni.
  48. Massaiu G, Puggioni T (2009) La riabilitazione dei deficit di apertura della bocca per cause meccaniche.Il dentista moderno
  49. DyakovaE (2013) Therapeutic speech massage. Xlibris Corp.
Materials and methods:

We evaluated 24 patients from our clinical practice through our personalized multidisciplinary evaluation chart. Afterwards, the patients were treated with the gnathological and speech therapies, presented in this study.

Aim of the work:

The aim of this work is to present our clinical experience in using an innovative multidisciplinary approach for the treatment of tinnitus in patients presenting temporomandibular disorders (TMD) in order to reduce or eliminate this symptom, which has a significant impact on the patient’s quality of life.

Conclusion:

According to our results, the accurate evaluation of the patient’s condition is essential in order to identify the gnathological cause of tinnitus and to plan the most adequate rehabilitation procedure. The evaluation includes an assessment of the temporomandibular joint (TMJ), of the oral functions and of the anatomical and functional features of the occlusion. The reported therapeutic combination between gnathology and speech therapy has proved to be effective in reducing or eliminating tinnitus and the other symptoms associated with TMD, consequently leading to a significant improvement in the patient’s quality of life.