La parodontite è un’infiammazione cronica provocata da una disbiosi, ovvero un’alterazione del microbioma batterico che normalmente colonizza il cavo orale; questa patologia è caratterizzata dalla formazione di tasche e dalla perdita di attacco parodontale, attraverso una progressiva distruzione dei tessuti di sostegno dei denti. Si tratta di una malattia tutt’altro che rara, i più recenti studi epidemiologici la collocano al sesto posto nella triste classifica delle malattie croniche non trasmissibili più diffuse al mondo; si calcola inoltre che circa l’11% della popolazione mondiale sia affetta da forme gravi di parodontite, tanto da rappresentare la prima causa di perdita dentaria fra gli adulti (1).
La popolazione italiana purtroppo non fa eccezione, infatti uno studio del 2015, condotto da Aimetti et al. (2) sul territorio nazionale, ha calcolato una prevalenza complessiva della malattia parodontale del 50% e del 15% per le sole forme gravi.
La parodontite può determinare una disfunzione masticatoria che ha conseguenze sull’alimentazione, sull’autostima e sulla qualità di vita in generale. Tutto questo ha un impatto sociale importante sulla vita degli individui e comporta costi economici che, nei paesi europei, si avvicinano a quelli delle malattie sistemiche più gravi.
Le classi sociali meno abbienti sono quelle maggiormente colpite, se a questo aggiungiamo il dato secondo cui il 90% della spesa per la cura della bocca è a carico del cittadino, il risultato è un alto livello di disuguaglianza nella possibilità di mantenere uno stato di salute (3).
Il picco d’incidenza delle forme più gravi è attorno ai 40 anni, ma già a 14-16 anni è possibile fare una diagnosi precoce per prevenire lo sviluppo delle conseguenze più debilitanti, come la perdita dei denti. Dopo i 40 anni l’incidenza continua a crescere, per questo è importante monitorare anche i pazienti over 40 che non hanno mai manifestato sintomi in precedenza (1).
La parodontite è una malattia complessa, sia per quanto riguarda le sue manifestazioni cliniche, che possono differire per gravità, estensione, età di esordio e rapidità di progressione, sia per i diversi fattori eziologici che concorrono a determinarla.
Le diverse manifestazioni fenotipiche sono il risultato della combinazione di diverse cause: il biofilm è sicuramente quello più significativo, a questo si associano condizioni sistemiche come il diabete scompensato, fattori genetici ed epigenetici e stili di vita come l’igiene orale, il fumo, lo stress e la dieta; senza contare poi fattori locali e iatrogeni come restauri e protesi incongrui.
In generale la genetica è maggiormente correlata alle forme più aggressive e con maggiore velocità di progressione, mentre l’accumulo di batteri, gli stili di vita e gli altri fattori sono determinanti nelle parodontiti a lenta progressione (4).
Un altro aspetto della parodontite da non trascurare è la sua interazione con alcune malattie sistemiche importanti come il diabete e le patologie cardiovascolari; essa è infatti in grado di aumentare il livello di infiammazione sistemica attraverso l’immissione, dalla tasca parodontale al circolo ematico, di tossine e citochine pro-infiammatorie.
Paradossalmente la parodontite, malgrado la sua diffusione e le ripercussioni socio-economiche, è una malattia ancora poco conosciuta. Ben 3 indagini demoscopiche, commissionate dalla Società italiana di parodontologia e implantologia fra il 2016 e il 2020, hanno osservato che solo un italiano su quattro conosce la malattia e le complicanze ad essa legate. Le interviste realizzate per questa indagine hanno evidenziato un altro dato preoccupante, ovvero che soltanto al 17% del campione era stata diagnosticata la parodontite e che solo l’1,4% aveva ricevuto una terapia parodontale (5). Questa indagine ha messo in evidenza due importanti necessità:
- aumentare la consapevolezza nella popolazione italiana sulla malattia e sulle conseguenze della stessa sulla salute generale;
- facilitare la formazione dei colleghi attraverso la costruzione di linee guida per implementare precocità di diagnosi ed efficacia delle terapie.
Le linee guida sono un insieme di raccomandazioni, elaborate sulla base dell’evidenza scientifica, che supportano il medico e il paziente nel prendere le decisioni più appropriate per migliorare la qualità e la sicurezza delle cure. Acquisire le linee guida rappresenta un importante momento di crescita professionale per il medico e il suo team, inoltre la loro diffusione permette di ridurre l’impatto socio-sanitario normalmente causato da un approccio clinico non sufficientemente validato.
Un altro importante compito delle linee guida è quello di facilitare il compito nei casi in cui si debba accertare la responsabilità professionale; infatti, in base alla legge 8 marzo 2017, n. 24, le linee guida diventano il metodo di valutazione primaria dei comportamenti sanitari (6). Questo permette di ridurre i contenziosi, di mitigare la variabilità delle sentenze nelle motivazioni tecniche, di ridurre le pratiche di medicina difensiva, ma soprattutto di integrare la medicina basata sull’evidenza nella pratica clinica quotidiana.
La sinergia tra diverse società nazionali di parodontologia, inclusa naturalmente la SIdP, che afferiscono alla European federation of periodontology (EFP), ha permesso la pubblicazione, nel numero di luglio 2020 del Journal of Clinical Periodontology (7), delle linee guida sul trattamento delle parodontiti di stadio I-III; queste, opportunamente tradotte, sono già state adottate come linee guida nazionali in diversi paesi, Italia compresa.
Le linee guida sono state redatte attraverso un metodo rigoroso e trasparente, le conclusioni sono state classificate secondo la loro forza: forti raccomandazioni a praticare o non praticare un particolare trattamento; raccomandazioni di forza minore che nella clinica si traducono in semplici suggerimenti; raccomandazioni aperte, ovvero trattamenti che possono essere presi in considerazione ma che al momento non sono sufficientemente supportati dalla letteratura per essere raccomandati o consigliati.
Le linee guida per le parodontiti di grado I-III prevedono un percorso costituito da 4 step ben definiti. Partendo da una diagnosi di malattia parodontale caratterizzata da gravità e velocità di progressione, l’obiettivo sarà migliorare la prognosi perseguendo gli obiettivi ideali che sono: assenza di tasche ≥ 6mm o ≥5mm con sanguinamento al sondaggio; assenza di lesioni alla forcazioni di grado ≥ II.
La diagnosi di parodontite segue lo schema di classificazione definito nel World Workshop 2017 (8). Questo, ispirandosi ai sistemi di classificazione delle malattie oncologiche, utilizza i criteri di stadiazione e grado per definire la complessità delle forme con cui si può presentare la malattia e per impostare un piano terapeutico adeguato.
Per prima cosa è necessario determinare la presenza di malattia parodontale, ciò avviene quando si riscontra una perdita di attacco parodontale (CAL) ≥3mm in almeno due denti non adiacenti con sondaggio >3mm; naturalmente questa CAL non deve essere riconducibile a cause diverse dalla parodontite come recessioni, carie, eccetera.
Il secondo passaggio è distinguere, attraverso l’esame obiettivo e l’indagine anamnestica, la parodontite vera e propria dalle forme necrotizzanti e dalle parodontiti secondarie.
Il terzo passaggio è la descrizione della gravità e della complessità della parodontite, della sua estensione e della sua rapidità di progressione.
Tornando alle linee guida, il primo step prevede tre momenti: l’istruzione e la motivazione del paziente all’igiene orale domiciliare, la modulazione dei fattori di rischio e la strumentazione sopragengivale. In questo step, in cui la collaborazione fra odontoiatra e igienista dentale è fondamentale, viene fatto ampio uso dell’attività di counseling; va da sé che la comunicazione deve essere efficace, attraverso strategie consolidate, come l’uso dei rilevatori di placca. Le istruzioni da impartire al paziente su come ottenere il controllo del biofilm non corrispondono a un rigido protocollo, ma possono essere personalizzate in base alle caratteristiche del paziente. La rimozione dei depositi di placca e tartaro sopragengivali si rivelano fondamentali per permettere al paziente di mantenere un’adeguata igiene orale. Il controllo dei fattori di rischio a sua volta agisce su tre livelli: i fattori di rischio sistemici, come il controllo della glicemia nel paziente diabetico; i fattori di rischio comportamentali, come il fumo; i fattori di rischio locali, come i margini protesici e i restauri incongrui.
Solo dopo aver raggiunto gli obiettivi dello step 1 si può passare allo step 2, ovvero la strumentazione sottogengivale e l’eventuale applicazione di terapie aggiuntive. Anche in questo caso non esiste evidenza scientifica che uno strumento, manuale o meccanico, sia superiore agli altri (9).
La strumentazione sottogengivale può essere eseguita in un’unica seduta su tutta la bocca (full mouth) o essere suddivisa in arcate o quadranti. Anche in questo caso la letteratura non ha evidenziato la superiorità di un protocollo rispetto a un altro, ma bisognerà tener conto del fatto che l’approccio full mouth induce in un’aumentata risposta infiammatoria; di conseguenza, per i pazienti in condizione di salute non ottimali, è preferibile un approccio suddiviso in più sedute (9, 10).
I risultati attesi, dopo aver eseguito correttamente i primi due step della terapia parodontale, sono: la riduzione degli indici di placca e sanguinamento <20%, una riduzione media del sondaggio di 1,4 mm e la chiusura di 1 tasca su 4 a distanza di 6-8 mesi dalla strumentazione sottogengivale (9).
Per quanto riguarda le terapie come il laser e la terapia fotodinamica, le linee guida sono piuttosto chiare e suggeriscono di non utilizzarle perché non sono in grado di portare benefici clinici aggiuntivi in termini di riduzione di tasca (11).
L’uso aggiuntivo di antibiotici, invece, deve essere limitato ai pazienti giovani adulti affetti dalle forme di parodontite più gravi, in particolare quelli corrispondenti al pattern di distribuzione in cui i denti maggiormente colpiti sono i primi molari e gli incisivi. Questa raccomandazione a non prescrivere gli antibiotici di routine è motivata dai possibili effetti collaterali come reazioni allergiche, disturbi gastrointestinali, alterazione del gusto e dal rischio di generare resistenze agli antibiotici (un grave problema globale che, solo in Europa, genera 300.000 morti all’anno) e dismicrobismo intestinale (12,13).
La somministrazione locale di antibiotici come la doxiciclina e di clorexidina sono una possibilità terapeutica che, pur non essendo raccomandata, può essere presa in considerazione; al contrario l’uso dei probiotici, data la scarsa evidenza a supporto della loro efficacia, è apertamente sconsigliato (14,15).
Terminato lo step 2, dopo un opportuno periodo di guarigione (mediamente 60-90 giorni), si rivaluta il caso compilando una nuova cartella parodontale; gli obiettivi della terapia sono: FMPS <30%, FMBS <10%, assenza di tasche ≥ 6mm e di tasche ≥5mm con sanguinamento al sondaggio, assenza di forcazioni di II grado. Se questi vengono raggiunti si può passare direttamente allo stadio 4, ovvero quello deputato al mantenimento dello stato di salute parodontale ottenuto, in caso contrario sarà necessario affrontare la terza fase della terapia (fig. 1).

Step 3: in caso di tasche residue limitate a 4-5 mm il suggerimento è quello di ripetere la strumentazione sottogengivale; in caso di tasche più profonde la ristrumentazione può essere associata a un lembo.
Un punto molto importante da chiarire è che la chirurgia parodontale deve essere presa in considerazione solo se gli obiettivi degli step 1 e 2 sono stati raggiunti, ovvero il controllo dei fattori di rischio e il raggiungimento di un adeguato livello di igiene orale domiciliare; se ciò non avviene, si deve ripartire dallo step 1. Altri requisiti fondamentali per affrontare la chirurgia parodontale riguardano l’ambiente clinico, che deve essere adeguatamente attrezzato e organizzato, e il professionista, che deve aver ricevuto un training specifico. Se questi requisiti dovessero mancare è necessario, per la sicurezza del paziente, affidarlo ad un clinico esperto per lo svolgimento di questo step.
Le opzioni chirurgiche per le tasche ≥6mm sono: la strumentazione a cielo aperto; la chirurgia resettiva, raccomandata per il trattamento dei difetti infraossei <3mm; la chirurgia rigenerativa, raccomandata per il trattamento dei difetti infraossei ≥3mm, per le forcazioni di II grado dei molari mandibolari e per le forcazioni di II grado vestibolari dei molari mascellari.
Per il trattamento delle forcazioni di III grado e delle forcazioni di II grado interprossimali, che non devono essere considerate un motivo per estrarre il dente, le linee guida si limitano a una raccomandazione aperta a prendere in considerazione diversi trattamenti quali: la ristrumentazione non chirurgica, la tunnellizzazione, la separazione radicolare o la resezione radicolare.
Al termine dello step 3 è prevista una nuova rivalutazione, idealmente si dovrebbero raggiungere gli obiettivi terapia parodontale, ma questo, soprattutto nelle parodontiti di stadio III, non è sempre possibile per tutti gli elementi; infatti, si possono presentare i 3 scenari illustrati in figura 2 (8, 16).

In caso di endpoints non raggiunti (parodontite instabile), il paziente dovrà essere di nuovo trattato ripartendo dallo step 1; nei casi invece di parodontite stabile, indipendentemente dalla presenza o meno di infiammazione gengivale, il paziente deve essere considerato ad alto rischio di recidiva e quindi necessita di una terapia parodontale di supporto (TPS), ovvero lo step 4 delle linee guida. Tale terapia deve essere specificatamente progettata sui bisogni del paziente, deve comprendere il monitoraggio della salute parodontale, la motivazione del paziente all’igiene orale domiciliare e al controllo dei fattori di rischio, la rimozione meccanica della placca e la strumentazione sottogengivale in caso di eventuali tasche. Promuovere l’adesione alla TPS è fortemente raccomandato perchè in grado di mantenere la salute parodontale a lungo termine e di migliorare ulteriormente i parametri parodontali (17-19).
Le linee guida raccomandano istruzione ripetute e personalizzate per la detersione di tutte le superfici, incluse quelle interprossimali. L’igiene interdentale può essere ottenuta con diversi strumenti, ma la prima scelta è rappresentata dallo spazzolino interprossimale (fig. 3).

Inoltre, sono raccomandati gli interventi a favore della cessazione del fumo e del controllo del diabete.
L’uso di dentifrici e collutori antisettici è solamente consigliato, mentre l’uso di terapie antibiotica, fotodinamica e laser sono sconsigliate anche in fase di mantenimento. Ancora non chiaro, invece, è il ruolo degli agenti aggiuntivi come i probiotici, i prebiotici, gli antinfiammatori e i micronutrienti antiossidanti durante le terapie di supporto.
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