Rapporti tra ortodonzista e chirurgo maxillo facciale

 

Già nei primissimi anni del ‘900 l’integrazione tra la chirurgia del volto e la nascente disciplina ortodontica (attuale rapporto tra ortodonzista e chirurgo maxillo facciale) era indispensabile per un risultato terapeutico ottimale.

La collaborazione tra Edward Angle e William Blair portava nel 1898 alla prima osteotomia di mandibola.

Lo stesso chirurgo affermava nel 1907 che “[…] quanto prima ci si affida ad un ortodonzista competente ed affine, tanto migliori saranno i risultati per paziente e chirurgo”.

Alla luce di questa affermazione più che centenaria vogliamo brevemente analizzare le necessità e le implicazioni di un approccio necessariamente collaborativo e multidisciplinare.

Ortodonzista e chirurgo maxillo facciale: inquadramento diagnostico e programmazione del caso

Quanto dice la letteratura

Le competenze del chirurgo e dell’ortodontista sono complementari ed affini nella correzione delle malocclusioni e dei dismorfismi dento-scheletrici: la cooperazione deve iniziare già dalla diagnosi.

Una precisa identificazione della deformità deriva da un’accurata valutazione clinica, dall’analisi di modelli studio e di approfondimenti radiologici di I livello (OPT e teleradiografia in PA ed LL).

I dati raccolti, eventualmente integrati da esami tridimensionali di II livello (Tc, scan facciale) vanno poi analizzati in una valutazione plurispecialistica. I molti e differenti metodi di analisi devono però convergere su di un’unica, univoca e concorde definizione.

I punti comuni fondamentali di analisi, in particolar modo e se il caso richiede una correzione chirurgica, sono i seguenti:

  • la lunghezza delle arcate, assoluta e relativa;
  • la dimensione trasversale delle stesse, con la mandibola posta come riferimento, e la curva di Wilson (un divario dimensionale in presenza di una curva corretta sottintende una discrepanza scheletrica);
  • la valutazione delle dimensioni verticale e sagittale e della divergenza dei piani occlusali, mediante analisi angolari e lineari;
  • l’analisi cefalometrica dei tessuti duri e molli;
  • le mediane, dentali e scheletriche;
  • la corretta inclinazione degli incisivi, la rappresentazione dei tessuti molli labiali, la conseguente esposizione degli incisivi a riposo e durante il sorriso;
  • lo scivolamento mandibolare in massima intercuspidazione, inteso come differenza tra relazione ed occlusione centrica, pur in assenza di un attuale consenso univoco riguardo la definizione di una corretta relazione centrica;
  • l’articolazione temporomandibolare: è fondamentale un’accurata valutazione clinico-strumentale, con particolare attenzione ai fattori di rischio (condili mandibolari sottili in donne in terapia estroprogestinica, II classe scheletrica con morso aperto).

Si può quindi affermare alla luce di quanto riportato, che solo un accurato esame clinico-strumentale ed estetico e una adeguata analisi dei dati raccolti possono portare ad un corretto inquadramento diagnostico, fondamentale per la successiva programmazione del caso.

Si attua quindi un piano di “information-based decisions”: organizzare quanto raccolto mediante schemi predeterminati per poi intraprendere un percorso terapeutico giustificato.

Se per quanto concerne un’eventuale pianificazione chirurgica si rimanda a trattazioni più specifiche e di migliore competenza, risulta utile in questa sede esaminare l’evidenza letteraria per ciò che riguarda la scelta del trattamento chirurgico rispetto ad un camouflage ortodontico.

La risposta viene dall’analisi dei seguenti punti, effettuata caso per caso:

  • priorità del paziente sul piano estetico, sia in caso di correzione chirurgica sia di camouflage ortodontico;
  • predicibilità e limiti dei movimenti ortodontici;
  • riduzione delle tempistiche attraverso un trattamento ortodontico-chirurgico;
  • compliance del paziente nei confronti di entrambi i programmi di cura;
  • valutazione del costo biologico del trattamento chirurgico, sua predicibilità e stabilità nel tempo.

In genere la chirurgia ortognatica è primariamente indicata quando l’alterazione delle relazioni scheletriche è sufficientemente severa da compromettere la funzionalità stomatognatica e/o l’estetica del volto o essere correlata a patologia respiratoria ostruttiva, senza che le procedure ortodontiche possano portare ad una correzione stabile nel tempo.

Ruoli e responsabilità

Il primo imprescindibile step terapeutico è una corretta ed accurata diagnosi. A tale obiettivo concorrono sinergicamente tutte le figure cliniche in gioco, per quanto ad ognuna compete.

Differenti metodiche di analisi cefalometrica si associano all’analisi clinica dei tessuti molli e della funzionalità dell’apparato stomatognatico.

Un errato inquadramento diagnostico porta infatti all’applicazione di un piano di cura non corretto.

La causa del mancato raggiungimento degli obiettivi terapeutici prefissati può essere riconosciuta in una diagnosi errata, ancor prima che in manchevolezze realizzative.

Si ricorda che, sebbene patologie gravi dell’articolazione temporomandibolare possano portare all’esecuzione di interventi correttivi di chirurgia ortognatica (in esiti di condylar shave/condilectomia alta/resezione per anchilosi), non si può affermare che tali procedure portino a risoluzione o miglioramento di patologie temporomandibolari.

Quanto clinicamente intrapreso deve essere quindi giustificato da un percorso diagnostico e decisionale chiaramente esplicabile.

L’adeguata raccolta dei dati e la diagnosi accurata costituiscono il preludio ad un processo decisionale di equipe in cui ogni figura si prefigge degli obiettivi: la somma di tali obiettivi, generalmente raggiungibili per step, porta al completo raggiungimento del risultato, per tale motivo gli obiettivi devono essere realisticamente perseguibili.

I movimenti ortodontici devono essere concordi a quanto stabilito, soprattutto in caso di preparazione pre-chirurgica; movimenti eccessivi o non controllati possono rendere più difficoltosa la collaborazione ortodontico-chirurgica.

Il raggiungimento anche solo parziale di quanto prefissato pone infatti l’indicazione ad una ulteriore analisi e ad un adattamento del piano di cura integrato.

In maniera analoga gli spostamenti delle basi ossee devono tenere conto delle limitazioni imposte dai tessuti molli, anche mediante un piano terapeutico in più fasi chirurgiche o con differenti metodiche di fissazione.

Il paziente deve essere adeguatamente ed anticipatamente informato di tutti gli aspetti terapeutici, dei tempi, delle possibili complicanze e conseguentemente delle possibili modifiche al piano di cure.

 

Letture consigliate e riferimenti bibliografici di rilievo

  • Blair VP. Operations on the jaw-bone and face. Surg Gynecol Obstet 1907;4:67–78
  • Sarver D, Jacobson RS. The aesthetic dentofacial analysis. Clin PlastSurg 2007;34(3):369–394
  • McGee GF. Use of facial measurements in determining vertical dimension. J Am Dent Assoc. 1947 Sep;35(5):342-50.
  • Keshvad A, Winstanley RB. An appraisal of the literature on centric relation. Part I. J Oral Rehabil 2000;27(10):823–833
  • Keshvad A, Winstanley RB. An appraisal of the literature on centric relation. Part II. J Oral Rehabil 2000;27(12):1013–1023
  • Keshvad A, Winstanley RB. An appraisal of the literature on centric relation. Part III. J Oral Rehabil 2001;28(1):55–63
  • Al-Moraissi EA, Wolford LM, Perez D, Laskin DM, Ellis E 3rd. Does Orthognathic Surgery Cause or Cure Temporomandibular Disorders? A Systematic Review and Meta-Analysis. J Oral Maxillofac Surg. 2017 Sep;75(9):1835-1847.
  • Tucker MR. Orthognathic surgery versus orthodontic camouflage in the treatment of mandibular deficiency. J Oral Maxillofac Surg. 1995 May;53(5):572-8.

 

 Quanto clinicamente intrapreso deve essere quindi giustificato da un percorso diagnostico e decisionale chiaramente esplicabile. L’adeguata raccolta dei dati e la diagnosi accurata costituiscono il preludio ad un processo decisionale di equipe in cui ogni figura si prefigge degli obiettivi: la somma di tali obiettivi, generalmente raggiungibili per step, porta al completo raggiungimento del risultato, per tale motivo gli obiettivi devono essere realisticamente perseguibili”

Marco L. Scarpelli con la collaborazione di Francesco Daleff

Accogliamo il contributo di un giovane e promettente collega medico chirurgo, il dottor Francesco Daleffe, specialista in chirurgia maxillo facciale, che da subito, nella propria pratica professionale, si è interessato di aspetti “forensi” e che in tale ambito collabora con lo scrivente all’esame tecnico di casi multidisciplinari.

È indubbio che le patologie di confine rappresentino frequente casistica medico legale, coinvolgendo odontoiatri, chirurghi maxillo facciali, otorinolaringoiatri, neurologi, etc. È necessario quindi creare spazi dove i ruoli dei singoli specialisti possano essere esaminati confrontando i rispettivi approcci: ciò non solo con finalità di accertamento di responsabilità/non responsabilità, ma anche come approccio preventivo ai problemi eventuali, allo scopo di individuare percorsi condivisi sulla diagnosi, sull’informazione, sulla gestione clinica.

Il primo tema affrontato è relativo al rapporto tra chirurgo maxillo facciale e ortodontista; seguirà un secondo contributo che studierà i rapporti tra la chirurgia del viso e l’estetica.

 

Per approfondimento dei temi trattati: dottor Francesco Daleffe, francescodaleffe@yahoo.it